C’è qualcosa di irrisolvibile e sfuggente, di invisibile ma tangibile, dietro l’immagine di Meyun, la protagonista di The Sun Rises On Us All (Ri gua zhong tian), quarto lungometraggio del regista pechinese Cai Shangjun presentato a Venezia 82, già Leone d’Argento con People Mountain People Sea nel 2011. Analogamente alle dirette social che caratterizzano il lavoro della donna come venditrice di abiti (non proprio la migliore delle fashion influencers), il film mette in scena un’ambiguità diffusa, disordinata e disorientante, a partire dalle immagini di ciò che si vede, da quello che è in campo, da ciò che definisce gli intricati legami tra la protagonista (grandissima interpretazione di Xin Zhilei, vincitrice della Coppa Volpi, il film è lei) e le situazioni, le persone, le cose e il nostro sguardo, e mediante ciò che rimane fuori campo. Infatti, fin dai primi istanti, all’interno di questa dialettica tra presenze e assenze, il film sceglie di abitare una certa scomodità, consapevole di esercitare una forza trascinante e irrefrenabile che attrae, respinge e trasporta dentro zone d’ombra mai del tutto codificabili e leggibili, ancorate all’immaterialità dei sentimenti e all’inconsistenza delle cose che occupano le immagini, riempiendole di vuoto.

Zone d’ombra che interpellano un’umanità subito mostrata appesantita dalle fatalità della vita (la presenza di un tumore è subito denunciata), limitata e sbilenca come le dirette registrate da Meyun che a stento riesce a ricavare un set dal camerino del negozio, esposta ad un mondo prossimo al collasso perché sommerso dal male e dal dolore, dal senso di colpa e dal rancore (ma, per contrappunto è segretamente incinta). Si sorride con l’amaro in bocca durante le sue dirette, soprattutto quando erroneamente Baoshu appare nell’inquadratura e Meyun, inizialmente, non se ne accorge per poi inclinare lo smartphone e ottenere un’immagine più conciliante e sopportabile, eliminando di fatto dal campo visivo l’uomo e la sua tristezza. Tanto è vero che attese, speranze, ricordi e paure sono nello sguardo di Meyun e riflettono un profondo e drammatico vissuto, tradito sempre dalla frenesia dei movimenti della macchina da presa interessata a spingerci verso una dimensione asfittica ma sempre carica di significato. È un film in cerca di segni e risposte, ma avvolto in una coltre di interrogativi pure troppo densi, sia che si tratti di orientarsi nei corridoi di un ospedale colmo di sofferenza, sia che si voglia comprendere il presente nonostante l’angoscia del vivere. Allora si rimane interdetti davanti alla potenza di un titolo come questo, perché tremendamente vero e a suo modo ironico, spietato: The Sun Rises On Us All. Come negarlo. D’altra parte il tempo scorre in modo indifferente e, per davvero, da qualche parte nel mondo, una luce illumina e abbatte la notte. Crederlo diventa l’unica possibilità per la salvezza, ma la sofferenza rimane. Per questa ragione, Meyun tiene nascosto il dolore che la affligge, come imprigionata dalla sua stessa immagine. Una nuova identità, il tentativo di nascondere un passato atroce, un debito con sé stessa inestinguibile, l’incontro che rovescia l’apparente ordine del nuovo mondo, l’intrusione che scalfisce e irrompe e tutto si frantuma svelando gradualmente il tragico passato. Esemplari alcune scene, volte a tradurre la frantumazione della relazione tra i due amanti: un vaso che viene lanciato dal balcone, l’incendio che divampa fuori dal magazzino, il vetro rotto della finestra di casa.

Per anni sceneggiatore per Zhang Yang, per il quale ha scritto Spicy Love Soup, Shower e Sunflower, regista di quattro lungometraggi in quasi vent’anni, Cai Shangjun è abituato a mettere in scene le linee contraddittorie che tracciano i confini dell’identità del proprio paese, tra dolori privati e struggenti disgregazioni, corruzioni, manipolazioni, cattiverie e opportunismo. Tutti gli elementi della messa in scena convergono verso una forma politica ben riconoscibile, lacerata e disperata che spinge ad aprire gli occhi su un presente inafferrabile. Redenzione e liberazione diventano i poli opposti di un discorso e di una ricerca complementare che nel finale trasforma quello che fino a quel momento era un melodramma strutturato come un fuelliton in un tragico affresco dell’umanità e della Cina contemporanea, come i suoi protagonisti, legata al passato e proiettata in un futuro che pare non esistere.


