Perdere la libertà: Come ti muovi, sbagli di Gianni Di Gregorio

È il sesto film di Gianni Di Gregorio, dopo l’esordio in quota senior del 2008 con Pranzo di ferragosto e una amabile serie di film coi quali ha stabilito una sua cifra microrealistica, che rifugge il rigore ideologico del realismo in favore di un approccio più caratteriale ed empatico, di quartiere, tendente alla narrazione supina di una realtà che nasce e resta antidrammatica. Tra il fatalismo e la saggezza popolare, il personaggio di Gianni Di Gregorio si muove lentamente e con buonsenso, in bilico tra una cerchia sempre ristretta di conoscenze e un sano egoismo che però rifugge generosamente l’individualismo. Come ti muovi, sbagli – il sesto film di Gianni Di Gregorio, appunto – giunge con una struttura un po’ nuova, narrativamente meno occasionale, meno libera e svagata del solito: qualità che molto si sono apprezzate nelle sue opere precedenti e di cui qui si sente la mancanza.

 

 
Questa volta la sostanza della scrittura è più presente, si sente la struttura dei personaggi che letteralmente accerchiano Gianni e gli scompigliano la vita con una serie di situazioni che sembrano articolare un ritmo narrativo più classico, tradizionale. Gianni intanto qui non ha nome, ma è solo il Professore (come già in Lontano Lontano, certo) oppure il Papà o il Nonno, a seconda di chi interagisce con lui. Cosa che corrisponde a una sua funzionalità narrativa meno immediata, portata piuttosto a rispondere alle sollecitazioni dei personaggi che arrivano con le loro vite, ovvero le loro storie, nel suo universo. Il titolo, Come ti muovi, sbagli, ha un che di significativamente incongruo, una sorta di ammissione di consapevolezza rispetto all’immota serenità che caratterizza da sempre il personaggio di Gianni, la cui quiete da controra prolungata che segna il suo stare al mondo viene qui agitata dall’arrivo della figlia, Sofia (Greta Scarano). Sospeso tra gli amici del bar, il saggio sui Longobardi che vorrebbe scrivere e le attenzioni sempre un po’ ignorate di Giovanna (Iaia Forte), suo contraltare femminile che gli fa vanamente la corte, il Professore si ritrova a dover generosamente accogliere in casa la figlia con i due vivacissimi figli (una ragazzina e un bimbo simpaticamente pestilenziale).

 

 
Sofia arriva direttamente dalla Germania e si installa in casa del padre senza chiedere permesso, piena di pretese e carica di bile contro il marito Helmut, professore di filologia dantesca inciampato nel sorriso di una studentessa e già pentito ma di certo non perdonato. Sofia vuole rifarsi una vita e occupa l’appartamento del padre mentre prepara un concorso e cerca inutilmente di riconnettersi con vecchi spasimanti. Il padre si occupa generosamente dei nipoti e rinuncia a tutti gli equilibri della sua vita, mentre Helmut, intenzionato a farsi perdonare da Sofia, arriva a piedi dalla Germania attraversando monti e valli in compagnia di un cane lupo che lo ha eletto a padrone. Questo a dire che la commedia familiare, con tutte le sue dinamiche obbligate, prende qui il posto di quella lievemente umana alla quale Gianni Di Gregorio ci ha abituati: Come ti muovi, sbagli conserva la piacevolezza e la semplicità del suo cinema, ma allo stesso tempo sembra seguire il destino del suo protagonista, rimanendo prigioniero delle storie che gli arrivano addosso, dei personaggi che lo circondano, che sembrano un po’ tutti troppo “scritti”, organici, poco naturali e liberi nella loro funzionalità: troppo ingenuo Helmut, troppo inacidita e egoista Sofia, troppo “nipotini” i bambini… Si ama comunque la voluta semplicità del suo approccio, ma se ne rimpiange un po’ la libertà e l’immediatezza.