In Amore, l’ottava commedia di Spiro Scimone, la quarta con la regia di Francesco Sframeli, due coppie si incontrano in un cimitero. Non hanno nome, sono semplicemente la Vecchietta (Giulia Weber) e il Vecchietto (Scimone), il Comandante (Sframeli) e il Pompiere (Gianluca Cesale). Si stanno preparando a un ultimo viaggio («Perché tocca a noi, amore!… Oggi, amore, tocca proprio a noi!», dice la Vecchietta al marito). Conversando amabilmente di pannoloni e dentiere rievocano i bei tempi andati quando il fuoco della passione li divorava. La memoria vacilla, ma per la prima volta si dicono quello che non si sono mai detti prima, per paura o per vergogna (la Vecchietta, per esempio, sente un irrefrenabile bisogno di dire le parolacce: «Non le avevo mai dette, amore, però le avevo sempre pensate! (pausa) Ma, da stamattina, amore, le parolacce, invece di pensarle ho cominciato a dirle»). Si ride con i personaggi e ci si commuove con loro in questo splendido inno alla libertà, sempre in bilico tra commedia e tragedia, alla ricerca di un tempo perduto e, finalmente, ritrovato. Abbiamo incontrato Spiro Scimone, Francesco Sframeli e Gianluca Cesale.
Amore e morte, le due pulsioni primordiali, sono alla base dello spettacolo.
Scimone: Per noi l’amore è la vita quindi, sì, c’è la vita e la morte. C’è questa duplicità, questa opposizione che è caratteristica di tutto il nostro teatro. Ho scelto come protagonisti della pièce dei vecchietti perché, in realtà, non parlano soltanto del loro amore da vecchi e della vecchiaia, ma attraverso i ricordi parlano dell’amore da giovani e quindi c’è un amore attualizzato, attraverso le occasioni perdute, mancate… E poi i vecchi sono anche bambini, quindi c’è il discorso del gioco infantile che non solo appartiene ai vecchi, ma appartiene anche agli attori.
Sframeli: Siccome il teatro è gioco, è bellissimo raccontare e cercare di capire, con attori non vecchi, la resa dei conti, cioè la vecchiaia, l’imbarazzo di dirsi cose che in giovinezza non si sono dette. E diventa quindi un gioco teatrale con un ritmo straordinario.
Come sempre nel vostro teatro, ci sono dialoghi surreali che partono però da un’attenta osservazione della realtà.
Scimone: Sì, nel nostro teatro non c’è il naturalismo, si parte dall’osservazione della realtà, ma poi si procede a un innalzamento della stessa. Questo avviene grazie al teatro che deve trasformare la realtà per trovare il suo senso, è proprio questo il motivo che lo rende magico.
Sframeli: Diciamo la verità, il naturalismo nel teatro è tombale. Non puoi, su un palco, raccontare quello che fai nella vita, bisogna innalzare sia i difetti sia i pregi. Ecco la quintessenza.
L’amore di cui si parla nello spettacolo è quello tra una coppia omo (i pompieri) e una coppia etero (i vecchietti). Quindi per la prima volta nella compagnia Scimone-Sframeli entra un’attrice, la bravissima Giulia Weber.
Sframeli: Il testo che ha scritto Spiro è come uno spartito musicale e richiedeva una voce femminile proprio per dare la giusta musicalità.
Scimone: In questo caso mettere un uomo che fa la donna non aveva senso. Diciamo che era arrivata, nel nostro teatro, l’esigenza di una voce femminile.
La compagnia Scimone-Sframeli è una sorta di famiglia artistica che tende a a lavorare con lo stesso cast artistico e tecnico…
Cesale: Sono da otto anni nella compagnia e posso dire che è un gran divertimento prima di tutto perché è un gioco continuo, è un vivere insieme prima che lavorare insieme. Tra di noi c’è un’armonia che va al di là del lavoro specifico che stiamo facendo, è un rapporto vero. E questo poi si vede sul palco e viene percepito dallo spettatore. Il nostro è un “teatro di ascolto” ed è questo a fare la differenza. Il pubblico magari lo avverte, ma non sa spiegarsi cosa c’è di diverso dagli altri spettacoli, dagli altri attori: è che tra di noi a volte basta uno sguardo, un’occhiata, un movimento, un gesto, ci conosciamo talmente bene, abbiamo approfondito talmente l’ascolto, che poi voliamo. È una grande fortuna per un attore avere la possibilità di lavorare in questo modo, di non fare le cose di fretta, di prendersi tutto il tempo. Spiro ci mette anche tre anni a scrivere un testo, poi lavoriamo un mese, un mese e mezzo su uno spettacolo e continuiamo a farlo dopo il debutto, replica dopo replica, lo spettacolo non è mai quello di prima, non ci sentiamo mai arrivati. Questa è una grandissima responsabilità, ma è anche un grande potere perché ci dà la possibilità di non fermarci mai, di continuare a crescere sempre.
Scimone: Sì, quando si tratta di drammaturgia contemporanea è così. Abbiamo debuttato a novembre e fino a quel momento ho continuato a riscrivere e sistemare il testo.
A proposito di drammaturgia contemporanea, vi sembra che in Italia sia tenuta nella giusta considerazione?
Sframeli: Penso sia tempo che l’Italia e i teatri italiani si sveglino. Bisogna ribellarsi e creare una rivoluzione culturale seria perché, secondo me, la nuova drammaturgia è importante per un Paese democratico, è necessario investire maggiormente sulla nuova drammaturgia. Ma non su quella di Scimone e Sframeli, bensì su tutti quelli che fanno cose belle, bisogna trovare il modo di aprire le porte, di spalancarle. Basta con questi teatri che portano non alla vita, ma alla morte del teatro stesso.
Che è quello che succede in altri Paesi a noi vicini, penso alla Francia, dove voi godete di un grande credito…
Scimone: Sì, anche e soprattutto in ambiti istituzionali, come i teatri nazionali.
Sframeli: Brecht diceva che in un momento di crisi vengono fuori le idee, da lì bisogna ripartire. Al di là di tutto, la Francia nonostante i problemi che ha, accoglie. Anche l’Italia dovrebbe reinventarsi. Quello che stiamo notando è che c’è un reparto teatrale italiano di lobby, di chiusura in se stessi ed è un peccato…
Cesale: In Francia c’è un rispetto enorme verso la cultura italiana e verso il teatro italiano ed è un peccato perdere questo riconoscimento che, non solo la Francia, ma tutta l’Europa ci dà. Ci stiamo giocando la faccia, parliamoci chiaro. Come esseri umani e come cittadini.
Sframeli: Il teatro è una macchina straordinaria, ma va sostenuta. A teatro tutto è collegato, un testo non esiste se non ci sono gli attori, gli attori non esistono se non c’è un bel testo, uno è l’altro non esistono se non c’è un pubblico.
Tra l’altro il paradosso è che il pubblico ci sarebbe anche. Non sta tutto a casa a guardare la televisione…
Scimone: Già, ma gli va data la scelta, ed è proprio questo che, a volte, manca.
Dopo l’esperienza di Due amici (2002), per cui avete ricevuto il premio Luigi De Laurentiis per la miglior opera prima alla 59 Mostra del cinema di Venezia, avete chiuso con il cinema?
Sframeli: Non è che abbiamo chiuso con il cinema, il problema è come funziona il cinema. Noi lo abbiamo fatto perché lo sentivamo come una necessità, con tutti gli attori di teatro. Poi abbiamo anche scritto una seconda sceneggiatura, ma i meccanismi cinematografici sono quelli che sono… A noi il cinema piace, adoriamo Kaurismäki. Ma siccome amiamo il teatro e abbiamo fatto già un film, ci va bene così.
Milano Teatro Elfo-Puccini fino all’8 maggio
Orestiadi di Gibellina agosto
www.scimonesframeli.org