Da sempre i cani sono considerati i migliori amici dell’uomo. Per la prima volta però scopriamo che i robot sono i migliori amici dei cani. Questo è quanto viene raccontato in Il mio amico robot – Robot Dreams, l’ultima fatica del cineasta Pablo Berger presentata fuori concorso allo scorso festival di Cannes e giunta sino alla cinquina dei nominati agli Oscar per la categoria di settore. Prendendo le mosse dalla graphic novel di Sara Varon, l’autore spagnolo si cimenta per la prima volta nel cinema animato, confermando una tendenza sempre maggiore di registi che, avendo già alle spalle una buona esperienza per il racconto in live action, decidono di mettersi alla prova anche nell’animazione. Poco alla volta, anche grazie a titoli simili, il pregiudizio e l’etichetta tutta occidentale che vedono associare questi prodotti a un target infantile o, quando va bene, basato sul nucleo familiare, stanno venendo meno. Berger, citando l’ormai celebre discorso di Guillermo Del Toro tenuto durante la consegna dell’Oscar al miglior film animato grazie al suo Pinocchio (2022), afferma a gran voce che il suo mestiere è rimasto invariato: fino a oggi si era occupato di usare attrici e attori per raccontare storie, adesso invece è la volta dei disegni. La sostanza, però, resta la medesima.
Anzi, a pensarci bene, il fatto che un autore come Berger sia approdato a questa tecnica non deve sorprenderci. Più di dieci anni fa, infatti, il regista firmò Blancanieves (2012), operazione estremamente affascinante nella quale la celeberrima favola dedicata all’omonima protagonista veniva raccontata con il tipico stile del cinema d’avanguardia degli anni Venti. Si tratta di una pellicola muta, ovviamente, tesa a “smitizzare” uno dei capisaldi narrativi dell’infanzia. Il mio amico robot – Robot Dreams può vantare le medesime caratteristiche: da un lato l’idea di commuovere grandi e piccini di tutto il mondo, tramite un racconto di amicizia, solitudine e malinconia decisamente lontano dal canone che vede gli animali carini e coccolosi scorrazzare felici e canterini per le principali città del mondo; dall’altra l’idea di tornare nuovamente alla forma più pura e ancestrale del cinema, quella veicolata tramite l’uso di forme, colori e suoni, senza l’ausilio di dialoghi.
In anni in cui i confini dello storytelling si stanno rendendo sempre più labili e ibridi, finalmente anche l’approccio nei confronti della tecnica animata poco alla volta sembra adeguarsi alla contemporaneità. Tra l’altro, il film in questione diventa interessante anche come caso di studio di un prodotto in grado di dialogare con un pubblico ben preciso ma al tempo stesso larghissimo: quello che abita la pop culture. Chi frequenta le fiere del fumetto o gli eventi del settore se ne sarà accorto da tempo, ma ormai il prototipo del nerd è un mischione esplosivo che spazia dal cinema ai fumetti, passando per videogiochi, serie tv o giochi da tavola. Il mio amico robot – Robot Dreams dialoga con chi ama leggere tavole illustrate e con chi segue il cinema (se animato poi, ancora meglio), così come non nasconde evidenti richiami alla serialità più mainstream ambientata a New York o riferimenti ad altre sit-com di successo e richiamo pop (Futurama in primis). Il tutto mentre, è bene ricordarlo ulteriormente, si racconta dello spaesamento di un individuo all’interno di una metropoli disorientante e frenetica, in cui il cuore ghiacciato e calcolatore di una macchina può trasformarsi nell’unica compagnia desiderabile e umana a cui un cagnolino possa affidarsi.