Ida, storia di una novizia

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C’è una contraddizione costante in Ida ,ora in home video per Lucky Red, quarto lungometraggio del regista polacco/apolide Paweł Pawlikowski (oltre ad una manciata di documentari per la televisione ha a suo attivo i film Last Resort, My Summer of Love, La femme du Vème inediti in Italia), storia di una giovanissima novizia che, prima di prendere i voti, viene mandata fuori dal convento a conoscere la zia mai incontrata e scoprire i dettagli del suo passato. Ci si accorge presto che molte solo le linee che attraversano questo film, e tutte hanno in comune un identico senso  di incertezza che nasce da un incontro tra due opposti, la giovane Anna e la matura Wanda. Nipote e zia, l’una che si specchia e si riconosce amaramente nell’altra e viceversa. La suora Anna non sa nulla del mondo, ma soprattutto di se stessa e delle sue origini, mentre Wanda, magistrato con un passato di combattente nella Resistenza antinazista e di militante del partito comunista, di cose ne sa anche troppe. Primo sbilanciamento, su cui, poi, si costruiranno quelli successivi in strati progressivi di accumulazione. Perché nulla si risolve e nessun nodo, alla fine, può essere sciolto. Così si passa dal viaggio nella neve verso Varsavia per la giovane “spensierata” vestita di grigio, con la valigia in mano e i movimenti armoniosi ma timidi, ad una narrazione che procede per svelamenti successivi fino allo spaesamento, o meglio, allo sbilanciamento insanabile come segno evidente di un cinema geometrico e rigoroso all’apparenza, algido e statico nei toni luminosi del bianco e nero (la fotografia è di Ryszard Lenczewski), quadrato nel formato (1:1.33). Ma si tratta solo di un velo, una maschera che si sgretola presto e mette in evidenza le spine di esistenze quasi inconciliabili con loro stesse. La novizia Anna, che si credeva orfana ma invece è ebrea, si chiama Ida e ha un passato di crudeltà legato intimamente alla storia cupa della Polonia.

Il film è ambientato nel ’62, in un paese reduce dalla feroce lotta tra cattolicesimo e comunismo, coi prodromi affilati dell’antisemitismo pronto a divampare di lì a poco tempo. Un contesto che accomuna le due donne e rende traballante ogni certezza. Ma da questo viaggio di conflitti continui, usciranno entrambe sconfitte a ferite, pronte a fare scelte irregolari che non si conciliano proprio più con le linee rette del paesaggio tutt’intorno. A scompigliare il rigore si intromette anche il jazz di un musicista girovago, irrequieto e innocente. Si pensa al primo Skolimowski, ai conflitti che trapassano tra dentro e fuori. Si pensa al viaggio di andata di Anna mentre vediamo il viaggio di ritorno di Ida. È identica e diversa. La malinconia ha preso il posto dell’inconsapevolezza. La neve, la strada bagnata, il paesaggio addormentato perdono la fissità dell’inizio e l’improvvisa mobilità della macchina da presa acquista la valenza di mille punti interrogativi. Ormai non si sa più se andare verso il passato (tornare in convento) o verso il futuro.