La nuova miniserie spin-off di Bridgerton dedicata all’ascesa della regina consorte di Gran Bretagna Carlotta di Meclemburgo-Strelitz al fianco del marito Giorgio III di Hannover del Regno Unito, appena uscita su Netflix, si è rivelata una piacevole sorpresa riscuotendo già un vasto successo tra gli amanti dell’universo creato dalla talentuosa produttrice e sceneggiatrice Shonda Rhimes. A differenza della serie tv originale, dal carattere più corale, che racconta le vicende della benestante famiglia inglese dei Bridgerton, La regina Carlotta approfondisce la storia personale della giovane sovrana, comparsa precedentemente solo come personaggio secondario, che, appena diciassettenne, fu data in sposa a re Giorgio III di Inghilterra, il celebre monarca conosciuto storicamente anche come “il re pazzo” in quanto affetto fin dai primi anni dell’adolescenza da una sorta di “disordine mentale” che lo portò spesso a stati di “disconnessione” e vera e propria follia. La miniserie, a questo proposito, analizza, attraverso uno sguardo profondamente empatico e comprensivo, proprio le varie manifestazioni di questa malattia mentale in relazione alle conseguenze e agli effetti di questa sulla capacità di governo del regnante e sulla relazione con la neo sposa, la quale, a discapito delle apparenze, in nome del suo amore per lui, si prodigò per far in modo di sostenerlo e di amarlo fino alla fine.
Tra flashback e contrari, che costituiscono un parallelismo tra il passato e il presente della vita della regina, la struttura narrativa si snoda attraverso i vari episodi cardine dell’inserimento di Carlotta a Corte, in cui fin dall’inizio si ritrova isolata e spaesata essendo proveniente da un altro Paese con differenti usi e costumi ed essendo ignorata, almeno in un primo tempo, dal marito. Con il tempo, però, l’orgoglio di Carlotta si indebolisce di fronte al sentimento amoroso che la giovane sta iniziando a provare nei confronti del re, che la ricambia ma che tuttavia nasconde un importante segreto, ovvero la sua malattia, che prima o poi verrà a galla.
Da un punto di vista formale è innegabile che la serie abbia un saldo impianto narrativo che collega coerentemente gli eventi passati e presenti tra di loro, grazie sia all’efficace uso di flashback e flash forward sia all’introduzione di personaggi già noti ai fan del format, quali una giovane Lady Danbury, la piccola Violet Bridgerton, e il fidato valletto della regina Brimsley. Anche i dialoghi risultano brillanti e mai tediosi così come l’egregia interpretazione degli attori protagonisti, realistica e ben calibrata, che si oppone a quella eccessivamente patetica e manieristica della serie originale, rende la narrazione scorrevole e piacevole da seguire. Infine la cura anatomica dei costumi, la sapiente costruzione degli ambienti scenografici nonché l’uso della fotografia risultano di impeccabile qualità, nonostante alcune licenze “poetiche” che appaiono un po’ anacronistiche, quali i tratti gestuali che caratterizzano i personaggi dell’epoca: è bene ricordare che nell’Ottocento, soprattutto nel contesto della Corte inglese, il contatto fisico tra una dama e un gentiluomo, anche quello più lieve, era considerato uno scandalo piuttosto evidente, a meno che i due non fossero già sposati. Certo si tratta di una convenzione sociale che ad ogni modo molti infrangevano spesso e volentieri; tuttavia la regolarità e la numerosità all’interno della miniserie di scene intime anche in presenza del pubblico, ad esempio tra Carlotta e Giorgio, minano non poco la base storica della serie, sebbene ci si possa passare sopra con facilità in virtù dello specifico target di audience (commerciale) e dell’obiettivo primario del format, che è quello di narrare una storia romanzata (e romantica) basata su fatti realmente accaduti (come ci tiene a specificare fin dall’inizio l’autrice scandalistica Lady Whistledown, “madrina” del gossip dell’universo bridgertiano).
Un altro aspetto sicuramente positivo e affascinante de La regina Carlotta è il carattere maggiormente psicologico della storia narrata, che ha lo scopo di approfondire l’interiorità dei protagonisti, senza però scadere in retoriche vuote o eccessivamente edulcorate. La malattia mentale del re così come le enormi difficoltà della regina impegnata a gestire la stessa non sono infatti sottovalutate ma ricomprese all’intero di un più ampio spettro semantico, che riprende tematiche per così dire “moderne” o comunque attuali. Ne sono un esempio le condizioni precarie della mente umana, la necessità di eliminare qualsivoglia pregiudizio, o ancora la dicotomia tra la presunta (ma ovviamente fallace) forza dell’uomo, ritenuto da sempre, per pure questioni di genere, impassibile di fronte alla sofferenza o al dolore, e d’altro canto l’invincibile forza della donna, quale la regina stessa, in grado di sostenere praticamente da sola il peso della Corona, o anche Lady Danbury, devota, dopo la morte del marito, a gestire il proprio destino, economico e non, con le sue sole capacità.
Tutto ciò, contestualmente al carattere commerciale già citato della serie, è accompagnato dalla cornice sentimentale onnipresente che si focalizza sulla tenera storia d’amore tra i due sovrani e che rende la trama senza dubbio interessante ai più, rilasciando una ventata d’aria fresca in opposizione ai temi e agli argomenti più difficili presentati, senza dimenticare di strappare una lacrima ogni tanto (o anche due).