C’è una banda di ragazzini, nella foresta. Vengono tutti da una città governata con il pugno di ferro in cui è facile morire e da cui in tanti provano a scappare. Seguono il fiume, arrivano alla foresta e incontrano altri come loro. Si aiutano, la sera si riuniscono intorno al fuoco e s’intrattengono ma, soprattutto, hanno scelto un nemico comune. Una nave prigione che periodicamente assaltano scivolando sul fiume con le canoe armati di balestre con le frecce esplosive. Quello che inizialmente sembra un ciclo destinato a ripetersi, tuttavia, verrà sconvolto da diversi eventi. La morte, la nascita, nuove scoperte sui prigionieri della nave. I figli della notte (Lamantica Edizioni, pag.260, euro 20) di Andrea Appetito, prende le mosse da una serie di trope della narrativa fantascientifica, in particolar modo in quell’area ribollente e indefinita del distopico e dintorni, operando una variazione sul tema efficace e personale, schivando con efficacia il già visto, la reiterazione di atmosfere e situazioni che per autori e lettori sono una zona di comfort per declinare il genere con piglio da cane sciolto attraverso una voce, uno storytelling e un’atmosfera che pur senza fare dell’anticonformismo un dogma da seguire a tutti i costi si muovono con scioltezza fuori dai sentieri più battuti. Salta all’occhio del lettore la reiterazione inefficace, la coazione a ripetere un gesto, l’assalto alla nave, destinato a fallire in un senso o nell’altro, un momento per cui tutta la comunità dei ragazzi si prepara al punto che le esercitazioni e gli attacchi veri e propri scandiscono informalmente il tempo sempre uguale di un gruppo di persone che, altrimenti, non avrebbe una direzione vera e propria.
I bambini scappano dalla città e non sanno cosa fare, la presenza del nemico comune è a questo punto un dono perché in qualche modo ti indica una direzione da seguire. Ma una dimensione senza tempo è un’illusione, prima o poi il divenire irrompe nelle routine e quando lo fa spariglia le carte, sconvolge gli equilibri e quel che puoi fare è solamente adattarti, ricostruire per compensare pur sapendo che mai potrai sostituire quel che hai perso. Il nemico che mai potrai battere è, in definitiva, il tempo. La voce di Appetito costruisce un’atmosfera profondamente fisica fatta di sangue, umidità, un ambiente naturale che puoi fisicamente sentire, né demonizzato né idealizzato, semplicemente molto solido e in grado di produrre effetti, un mondo che è esso stesso un personaggio della storia. Le coordinate sono poi lasciate al non detto, all’istinto, mancano gli info dump che per filo e per segno delineano ogni aspetto del teatro della narrazione, che viene approfondita quanto basta per quanto riguarda i dettagli e quel che si deve capire si capisce comunque. I figli della notte è un libro grezzo nella migliore delle accezioni, privo di sofisticazioni inutili ma non per questo privo di spessore, pubblicato non a caso da un editore come Lamantica che, nel panorama italiano, è un’entità estremamente particolare e soprattutto sregolata, che ubbidisce a un istinto letterario sicuramente ben nutrito e con alla base una preparazione solida ma scevro di fregole classificatorie che rischiano di rendere un catalogo asfittico.