Tre generazioni di registe diventano protagoniste assolute di questo film (in originale Deda-shvili an rame ar aris arasodes bolomde bneli) che ricostruisce, con l’occhio della regista che sta in mezzo a queste tre età, un pezzo della storia del cinema georgiano, che di diritto appartiene all’intera vicenda storica di questa arte. Lana Gogoberidze è la figlia di Nutsa Gogoberidze che, come apprenderemo dal racconto che diventa il tema del film, fu la prima regista donna del cinema georgiano e realizzò il suo primo film negli anni ’30 del secolo passato, quando era già madre di Lana. Ma Lana Gogoberidze è anche madre di un’altra Nutsa Gogoberidze, che continuando la tradizione femminile della famiglia, a sua volta fa la regista come la madre e ancora prima la nonna. Lana racconta la difficile vita della madre, che ebbe il modo di girare due soli film Buba nel 1930 e Uzhmuri nel 1934. Un’ondata repressiva del regime dopo avere giustiziato il marito, insieme a molti altri intellettuali del tempo, allontanò Nutsa dalla famiglia per rinchiuderla in un gulag dove visse dieci anni. Al suo ritorno alla vita familiare Nutsa non rientrò più nel mondo del cinema e in un ideale passaggio di testimone fu proprio la figlia, che oggi racconta quella dolorosa storia, a continuare nell’arte della regia. Il film di Lana Gogoberidze, nel Fuori Concorso – Eventi al Festival di Trieste, procede con l’accompagnamento della voce roca dell’ormai anziana regista che, nonostante i suoi 94 anni, continua nel suo lavoro di ricerca e archiviazione soprattutto dei suoi ricordi personali e di ricostruzione di quelli perduti per l’allontanamento forzato della madre per un periodo così lungo.
Il film inizia con tre sbiadite fotografie che ritraggono una donna che abbraccia una bambina. Sono loro, le due Gogoberidze, Nutsa e Lana, ma come dice quest’ultima non si sa se si stavano salutando per un addio oppure si stavano ritrovando dopo una lontananza. In questa ambiguità tutta ricreata dall’immagine e dalla sua polivalenza, prende avvio questa ricerca dei tempi perduti, quelli della vita personale e familiare, privata degli affetti e recisa nei sentimenti materni e filiali e quelli della storia del cinema forse mutilata di altri film che la sfortunata regista avrebbe potuto realizzare. Lana conserva i reperti di questa vita interrotta, conserva le statuine fatte con la pasta del pane che sua madre realizzava in prigionia, ma soprattutto ricerca i suoi film per dare degna memoria all’artista. Ritrova infine queste due pellicole, che sono state presentate in numerosi eventi internazionali e la stessa Cineteca di Bologna è riuscita a proiettare al pubblico del Festival del Cinema Ritrovato. Da quelle immagini, che per frammenti Lana riversa nel suo film, e dalle foto del set dove la madre era l’unica donna in una troupe di uomini, abbiamo un assaggio delle capacità espressive di Nutsa Gogoberidze. Non è un caso che la critica cinematografica contemporanea abbia ammirato incondizionatamente i suoi due lavori che, benché legati ad un’estetica formale che caratterizzava il cinema sovietico di quegli anni, avevano una potenza espressiva che come sempre era dovuta ad un montaggio non casuale, ma nervosamente legato alla concitazione della narrazione ovvero al suo fluire, ma sempre sottolineando con quelle immagini, la cruciale essenza del momento, l’indispensabilità che impone la ripresa come atto necessario alla narrazione.
Deda-shvili… diventa, non solo film essenziale per la sua regista che mette a tacere così un’esigenza sentimentale, un omaggio alla madre sempre rinviato che covava silenzioso durante la sua vita artistica e familiare, ma diventa, soprattutto, un essenziale documento che completa una storia del cinema e del protagonismo femminile in un’epoca così politicamente difficile per tutti e non certo più semplice per le donne. Scopriremo che le foto dalle quali parte la lunga riflessione di Lana Gogoberidze sono state scattate quando la madre stava salutando la figlia per partire per girare un film. La bambina che piangeva era addolorata per questa partenza e Lana si chiedeva se quelle lacrime fossero o meno giustificate dalla ragione per la quale la madre la stava abbandonando. La risposta la regista se l’è data ed è stata consegnata al mondo con questo film.