Bompiani ripropone Il richiamo della foresta (pag.154, euro 10, con una nuova e solida traduzione di Michele Mari) ed è l’occasione giusta per fare il punto sulla figura e il mito di Jack London. Un paio di anni fa è uscita la biografia Jack London, vita, opere e avventura (Mattioli 1885, pag. 280, euro 19,90) di Charles Dyer. Si tratta di una lettura davvero interessante che ci racconta come tutta la prima parte dell’esistenza di London (che in realtà si chiamava John Griffith Chaney) sia passata ad accumulare fallimenti. Fra il 1894 e il ’98 ha fatto l’operaio, il marinaio, l’osservatore nella marcia dei disoccupati del ’94, lo studente (prima alle superiori poi all’università), il cacciatore, il pescatore, il giornalista, il politico, il candidato sindaco. Poi nel biennio ’97-’98, con la scoperta dei primi giacimenti nel Grande Nord, London si è unito ai cercatori e fra nevi, animali, pericoli e voglia di avventura si è spinto fino in Canada a Dawson City. Questa fondamentale esperienza, genialmente rielaborata, sfociò in una serie di racconti e romanzi ambientati proprio in quei luoghi. Il richiamo della foresta è il primo grande romanzo, quello da cui prende il via il mito, marchiando nell’immaginario collettivo un segno indelebile sul rapporto uomo-cane. Buck metà collie e metà San Bernardo vive tranquillo in California. Subisce un rapimento e viene venduto per diventare cane da slitta nel Grande Nord nella corsa all’oro; vero e proprio eroe di un apprendistato selvaggio, di un romanzo di formazione (cinofilo), Buck apprende la violenza, la fame, la forza e trova affetto nel cercatore d’oro John Thornton. Quando questi viene ucciso dagli indiani The Call of the Wild (titolo originale) che aveva già fatto breccia in lui, prende il sopravvento e Buck diventa un lupo, il capobranco, l’archetipo di una nuova razza di lupi. Presta orecchio all’appello muto delle stelle, degli spazi, dei ghiacci che si chiudono in morsa intorno a lui. Ascoltando la voce del sangue spezza la meschina catena del tempo umano. London combatte il risucchio della psicologia con l’esaltazione dell’istinto, il trionfo della memoria ereditaria, la regressione dell’umano nel grembo crudo e grandioso del primordiale. Contro l’appiattimento della società di massa, lo scrittore fornisce un nuovo catalizzatore, il contatto con il naturale, l’apertura alla voce dell’istinto; tanto che la valutazione etica dei personaggi umani che compaiono nel romanzo viene messa in relazione con il loro comportamento verso l’animale Buck. Considerato un romanzo per ragazzi è invece una complessa e strutturata storia di trasformazione: l’ Übermensch nietzscheano si muta in cane, la belva bionda risorge dal branco.
Jack London rinunciò ai futuri diritti in favore dell’editore MacMillan, e accettando un migliaio di dollari, lasciò che l’editore investisse il denaro in una campagna pubblicitaria che prevedeva anche di inviare centinaia di copie a giornalisti e critici americani. Il suo nome raggiunse i lettori di tutto il mondo, ma suggerì una (errata) identificazione fra lui e la letteratura per ragazzi, e soprattutto con il Grande Nord, al punto di divenire un marchio e uno strabiliante archetipo. Il richiamo della foresta ha anche aperto un’importante direttrice che si muove nell’opera londoniana: la spinta ancestrale, atavica, devolutiva. Segno di una palingenesi metafisica quanto biologica e che ci insegna a rintracciare le opportunità del nostro destino nelle azioni trascorse.