Non c’è niente di più appassionante e appagante per chi ama il cinema, di apprendere le riflesioni sulla settima arte direttamente da chi ha contribuito a renderla tale. Per questo le interviste ai registi o ai direttori della fotografia (per fare solo degli esempi) hanno una così grande importanza e un reale seguito di lettori, così come le note scritte direttamente dagli stessi cineasti. Si tratta, nella maggior parte di casi, di riflessioni e racconti destinati a valere per sempre, oltre le mode di ogni tempo, perché fanno rivivere ogni volta opere altrettanto universali, in grado di dirci qualcosa di importante sulla realtà. Per questo è prezioso che nella povera editoria di cinema del nostro Paese vengano dati alle stampe libri capaci di tenere vive la passione degli spettatori e la ricerca degli studiosi. È il caso del recente volume editato da Donzelli Scritti sul cinema (pag 248, euro 26,00), curato, nella traduzione dal giapponese e nell’edizione critica da Franco Picollo e Hiromi Yagi (la prefazione è di Dario Tomasi), che raccoglie un consistente numero di interviste e scritti di Yasujirô Ozu, uno dei più noti registi giapponesi, di cui proprio nell’ultimo anno sono stati rimessi in circolazione ben sei film in versione restaurata.Una sorta di “antologia” di riflessioni e note di approfondimento sul cinema, sui suoi stessi film, sulla vita sul set, tra abitudini, star system e attori, sulla guerra cino-giapponese (che Ozu ha combattuto in veste di soldato) e sui titoli più amati dal regista di Viaggio a Tokyo, che venerava John Ford e il cinema classico hollywoodiano.
Quello che prima di tutto colpisce di questo pregevole volume è la totale dedizione al suo lavoro da parte del “più giapponese dei registi giapponesi”, che ha identificato la sua vita con il cinema e il cinema con la vita al punto da riuscire come pochi altri a “far sentire l’esistenza di ciò che chiamiamo vita senza utilizzare avvenimenti particolari”. Attraverso una scansione di sezioni, capitoli e paragrafi, si entra letteralmente nell’universo di Ozu, nella prassi del suo lavoro quotidiano, e si comprendono appieno le scelte registiche e le origini di quello stile inconfondibile che non ha mai smesso di rivoluzionare il linguaggio cinematografico, pur senza rivoluzioni, ma con la discreta eleganza che contraddistingue la sua intera filmografia, la coerenza di un sentire che ancora influenza i registi di tutto il mondo. «Chiacchiere sul mio mestiere», «Qualche parola sui miei film», «Vado un attimo in guerra e torno», «Un’arte ricca di verità» sono le quattro sezioni in cui il libro è suddiviso e attraverso le quali si procede, dettaglio dopo dettaglio, a descrivere un’intera vita. Dai primi passi mossi dietro la macchina, quando ottenne un lavoro di assistente, alle prime prove da sceneggiatore, i massacranti turni su diversi set contemporaneamente, per imparare e guadagnare di più, fino ai film più noti del maestro giapponese, che si racconta sempre in prima persona, con un approccio splendidamente soggettivo, più che mai affascinante e utile e per capire in profondità le direzioni del suo sguardo. Uomo pratico, di una semplicità essenziale e saggia, non indulge in ragionamenti teorici se non per dimostrare la necessità di certe scelte, come quando spiega che le sceneggiature non devono avere velleità letterarie, perché non si tratta di letteratura, e che le regole grammaticali del linguaggio cinematografico non hanno senso, se non per essere trasgredite, o meglio, aggirate. In questo sta la sua modernità, nel voler manipolare il cinema nel senso di una continua sperimentazione, personale e ancor più soggettiva, unica vera regola che Ozu sembra aver seguito per tutta la vita. A rendere ancora più prezioso il libro, infine, è l’approfondito apparato critico, essenziele per non perdersi nelle mille direzioni in cui il racconto procede, per comprendere e conoscere i particolari della cultura di riferimento (non solo cinematografica), i personaggi citati, le situazioni storiche vissute, ma anche i film dell’articolata filmografia e degli indici.