Parte con un focus sul cinema australiano Videolog, rubrica mensile che proporrà approfondimenti sulle uscite home video italiane e internazionali in articoli monografici – da cui l’idea del “log”, elenco, come a voler costituire un ideale database del meglio presente sul mercato.
Due eventi per iniziare, ripresi dalla recente cronaca festivaliera: dapprima l’apertura di Cannes con Furiosa: A Mad Max Saga, di George Miller e poi l’assegnazione del Leone d’Oro alla carriera a Peter Weir all’ultima Mostra di Venezia. Un segnale di quanto due soli cineasti australiani siano stati capaci di plasmare le forme di un immaginario globale che dagli anni Settanta si allunga al presente, tra esigenze espressive personalissime, pur quando a confronto con la macchina hollywoodiana. Lo stato d’Oceania in realtà è da tempo un osservato speciale, complice la riscoperta del suo cinema popolare iniziata nel 2008 con l’uscita del documentario Not Quite Hollywood di Mark Hartley, che con approccio amabilmente pop sintetizzava anche la natura quasi sempre a metà di una produzione attratta dalle formule statunitensi, ma capace cionondimeno di crearne di proprie. Un gioco di identità che si è perso e ritrovato fra veicoli monstre, la goliardia irriverente di figure come l‘ocker Barry McKenzie (creato da Barry Humphries e che ironizza sullo stereotipo dell’australiano rozzo e scolabirra), gli scenari sconfinati dell’Outback, il rapporto difficile con gli indigeni, la cognizione del passato all’ombra del dominio inglese e di ex colonia penale (ricordate la lunga scena di analisi storica-interrogatorio di Wolf Creek 2?). Ecco dunque cinque consigli per un primo percorso verso una perfetta Oz-videoteca. (In apertura una immagine tratta da Picnic ad Hanging Rock di Peter Weir).
Mantenendo la centralità di Peter Weir in quanto punto di congiunzione fra una cinefilia “alta” e le pulsioni popolari e iconografiche, Picnic a Hanging Rock resta il capolavoro immancabile, con cui l’autore reinterpreta il romanzo di Joan Lindsey. Pur iscrivendo la vicenda delle ragazze che scompaiono fra le rocce in un credibile contesto ottocentesco, Weir l’affronta con piglio irreale, lavorando sulle ellissi narrative e su atmosfere oniriche, creando così una sintesi (im)possibile fra una ricostruzione che sfiora il calligrafismo e una capacità di perdersi in percorsi sospesi e fiabeschi. Uno di quei film che non dovrebbero mai mancare su supporto fisico, anche se attualmente il Blu-Ray italiano di Plaion Pictures (uscito nel 2019) rischia di risultare un po’ costoso (mentre è più facile accostarsi al DVD doppio disco). L’edizione in ogni caso si presenta con booklet, making of, scene tagliate e versione director’s cut. In attesa magari di un più aggiornato upgrade, si può guardare alle edizioni inglesi di Second Sight, anche in 4K UHD da nuovo restauro approvato dal regista. Ricco il corredo di interviste, che comprendono fra gli altri la stessa Lindsey, insieme al direttore della fotografia Russell Boys e al cameraman John Seale, utili ad approfondire il peculiare stile visivo del film. Completisti e cercatori indefessi possono puntare anche alla Limited dello stesso editore, ormai fuori catalogo, con allegato un set di cartoline, il romanzo originale e un corposo booklet con vari contributi critici.
Ogni cinematografia che si rispetti ha in carniere un piccolo “milite ignoto”, l’autore ancora in attesa di una adeguata riscoperta. Nel caso dell’Australia il nome in questione è Richard Franklin, abile a rielaborare le forme del thriller, complice una passione smodata per il cinema di Alfred Hitchcock, che arriverà a completarsi nel 1982 quando gli sarà affidata la regia di Psycho II. Nell’attesa, il suo principale exploit è certamente Patrick, storia di un ragazzo immobilizzato a letto in stato comatoso, ma i cui poteri telecinetici si manifestano con esiti drammatici, soprattutto quando si innesca un gioco di desiderio con la nuova infermiera inviata ad accudirlo. Film di notevole successo, anche nel nostro paese (dove fu prodotto persino un sequel apocrifo), Patrick risplende nelle edizioni Blu-Ray e UHD inglesi di Powerhouse che oltre a presentare un nuovissimo restauro, offrono la scelta fra la versione originale australiana, quella internazionale più corta e addirittura l’italiana con lo score realizzato a bella posta dai Goblin. Corposi gli extra, con libro di 80 pagine e, fra gli altri, il commento di Franklin, un backstage d’epoca e un’ora di interviste dal già citato documentario Not Quite Hollywood. Sempre nel catalogo della linea Indicator, segnaliamo Roadgames, con cui Franklin rivisita affettuosamente La finestra sul cortile… sulle strade dell’Outback. E poi ancora Snapshot, dallo stesso sceneggiatore Everett De Roche. Aspettiamoci sicuramente altre uscite a tema dalla label inglese nel prossimo futuro.
Se a Franklin e De Roche possiamo comunque ascrivere i meriti artistici delle operazioni citate, non è da meno per importanza storica il produttore Anthony I. Ginnane, per alcuni il “Roger Corman australiano”, per la spregiudicatezza con cui ha sempre tentato di riprodurre “in piccolo” le dinamiche del cinema più grande, attraverso film ambiziosi nei risultati e nei nomi coinvolti, ma estremamente scaltri e “popolari” nell’uso delle pratiche più “basse”, con sesso e violenza a far sempre capolino. Un interessante esempio della sua formula è Harlequin di Simon Wincer, da noi in DVD per Oblivion Grindhouse, la collana di Home Movies e Caffè del Brivido, in cui un politico che ha afferrato al volo l’occasione del successo dopo la morte di un collega, si ritrova in casa uno strano illusionista-guaritore. L’uomo cura la malattia di suo figlio, ma poi diventa una presenza ingombrante, mentre aleggia perenne il dubbio sulla verità dei suoi poteri. Scritto ancora da De Roche, Harlequin rielabora in chiave moderna il rapporto fra il monaco Rasputin e l’influenza che lo stesso esercitava sulla famiglia dello zar Nicola II di Russia, dopo aver guarito il giovane figlio Aleksej dall’emofilia. Si nota chiaramente come quello dell’identità sia un topos ritornante nel cinema australiano, ancor più considerando la produzione che si affida ai volti internazionali di David Hemmings e del “guaritore” Robert Powell, scelta di casting geniale considerando il coevo successo come Gesù di Nazareth per Zeffirelli. Nonostante un paio di momenti shock e una scena di nudo in puro stile Ginnane, il film resta un thriller elegante e ambiguo sul rapporto fra magia e realtà. Il DVD italiano è rimasterizzato, con l’audio italiano originale e il trailer, spiace soltanto l’assenza dei sottotitoli per poter fruire al meglio la traccia inglese.
Mentre aspettiamo che le label finora elencate affondino le mani anche nel cinema action di Brian Trenchard-Smith (c’è comunque Dead End Drive In per la Arrow), ci si rivolge direttamente alla fonte, ovvero all’australiana Umbrella Entertainment per un’uscita imperdibile, il cofanetto Ozploitation Rarities, che raccoglie tre titoli realizzati al principiare degli anni Ottanta, in quella zona di confine dove il sensazionalismo si sposa alla sperimentazione sui linguaggi del thriller: Lady, Stay Dead, di Terry Bourke ruota attorno a un giardiniere assassino; Final Cut, di Ross Dimsey innesca un intrigante gioco di realtà e apparenze fra due documentaristi e uno scaltro e ricco tycoon che cerca di manipolarli, tra dinamiche psicologiche e voyeurismo. Infine Crosstalk, di Mark Egerton ritorna ancora una volta alla Finestra sul cortile, ma stavolta il testimone del delitto è un avveniristico computer – da segnalare gli splendidi cromatismi di Vincent Monton, già direttore della fotografia per capolavori come Long Weekend. Il cofanetto si fa forte di quattro ore di extra realizzati ex novo, mentre la prima tiratura (già fuori catalogo) comprende anche un book di 48 pagine, cartoline e poster. La formula evidentemente è considerata fortunata, perché un Ozploitation Rarities volume 2 è già previsto per novembre con altri tre titoli.
Si conclude tornando al principio, ovvero a uno dei titoli simbolo del gioco di identità che affonda in un contesto allucinatorio. Scomparso per anni e con il negativo recuperato dal macero appena in tempo, Wake in Fright di Ted Kotcheff è un’avventura visionaria nel cuore nero di un Outback dipinto come un’autentica bocca dell’inferno in cui un mite insegnante viene catapultato in un percorso fatto di un’umanità scientemente dedita all’autodistruzione. Un’opera iperrealista e pensata per un contesto exploitation, ma di cui Kotcheff ha intuito il potenziale autoriale, tarandola su una tonalità perennemente isterica e grottesca, ribollente di energia, elevata a titolo di culto da un’intera generazione di cineasti (e la sequenza della caccia al canguro mantiene ancora oggi tutta la sua forza violenta). Niente male per un titolo che in realtà è una coproduzione fra l’australiana NLT e l’americana Westinghouse Broadcasting Company, con un regista canadese e interpreti inglesi, Gary Bond e uno scatenato Donald Pleasence. Disponibile in Blu-Ray Eureka già da una decina d’anni, il film sta per riaffacciarsi sul mercato ancora per Umbrella in un nuovo restauro 4K che sembra optare per scelte estetiche radicali – la scelta di eliminare la patina giallastra che, in passate interviste, Kotcheff aveva rivelato essere parte integrante del film si annuncia già controversa. Aspettiamo comunque di vedere il risultato finale che certamente non lascerà indifferenti.