L’idea di confrontarsi con Watchmen è come minimo rischiosa, se l’intenzione è poi quella di farne un seguito, parliamo di camminare sulle uova. Watchmen di Alan Moore, il classico intoccabile, il feticcio debordato dal contesto fumettistico per essersi guadagnato, in maniera trasversale, l’idea di cult. Una serie TV che dà un seguito agli eventi della graphic novel significa aspettative altissime, hype a livelli stellari e una quota fisiologica di detrattori convinta a prescindere che se tocchi l’intoccabile sbagli, pronta a crescere a ogni imperfezione di un prodotto che tanto deve dimostrare per giustificare la propria esistenza. E Watchmen è sicuramente una serie TV imperfetta, eccome se lo è. Gli aspetti migliorabili sono diversi e non tutti legati a ragioni sentimentali, a quello che il fan medio avrebbe voluto vedere sullo schermo. C’è, per esempio, un world building interessante, ricco di spunti e di possibilità che troppo spesso vengono lasciate lì senza essere davvero approfondite, come la questione lasciata aperta sull’uso della forza letale concesso alla polizia e più in generale sul controllo delle armi da fuoco, problema sentito negli Stati Uniti.
Abbiamo poi personaggi interessanti che meriterebbero più spazio ma che si ritrovano a fare poco più che da sfondo, note di colore che avrebbero potuto dare di più all’economia del tutto, come Red Scare, Panda e Pirate Jenny, tre poliziotti che indossano la maschera da vigilantes ma che, di fatto, non fanno granché a parte far presenza.
E la trama. Se nella graphic novel torna tutto, e ogni elemento è un ingranaggio necessario di un meccanismo estremamente preciso, nella serie TV ci sono punti che sì, funzionano sul piano tematico e simbolico, ma che lasciano per lo meno qualche perplessità, e forse potevano essere gestiti meglio. Il punto è che Watchmen rimane, fino all’ultima puntata, sul filo del mandare tutto in vacca, fino alla fine potrebbe evolversi in una serie brillante oppure in una boiata che butta a mare quanto di buono costruito fino a quel momento. L’ambientazione ucronica porta avanti in maniera convincente il lavoro iniziato da Alan Moore (che un po’ per il suo rapporto con la DC Comics, un po’ per il suo rapporto con gli adattamenti delle sue opere, non ha voluto essere citato nei credits), approfondendo il Vietnam come stato americano a tutti gli effetti dopo che la guerra è stata vinta, reintroducendo la possibilità di combattere in crimine indossando la maschera da supereroe, nella sola Oklahoma, con un espediente credibile e scavando negli eventi ambientati anni prima della graphic novel di modo da usarli per dare un senso alla vicenda della serie.
Alla fine, Lindelof più o meno ce la fa. Riesce a tenere insieme il tutto senza fare errori che compromettano l’economia della storia nel suo insieme. A testa bassa, l’autore di Lost e di Leftovers porta a casa la serie confrontandosi con un colosso della narrativa contemporanea senza paura, senza ansia da prestazione ma con tanta voglia di fare bene. Watchmen – la serie TV è un’opera brillante, complessa e curata nei dettagli, un lavoro di concerto fra ambientazione e trama (la prima è un motore efficace per gli eventi della seconda, al punto che potremmo definire la serie “setting driven” più che plot o character driven). Con tutte le sue imperfezioni, Lindelof crea un dispositivo narrativo che funziona bene su più livelli, funziona come puro intrattenimento che schiaccia ripetutamente l’occhio ai fan sentimentali con una raffica di citazioni (dalle pillole che Angela/Sister Night ingoia andando in overdose, che dovrebbero far suonare un campanello ai lettori di Moore, alla ricontestualizzazione geniale della bambina col cappotto rosso di Schindler’s List) e funziona come opera intelligente e stratificata, arricchita da una rete di simboli che può essere colta parzialmente o in toto ma che, in ogni caso, arricchisce la serie con una dimensione ulteriore di profondità che, pur restando sulla linea del suggerito, comunica parecchio.
Watchmen di Lindelof raggiunge la perfezione? No, ma forse non era possibile e, contando che se anche l’avesse fatto in molti per partito preso non l’avrebbero ammesso, poco importa. Watchmen è un seguito vero e proprio, e non un semplice tributo, ma un confronto a viso aperto, con un mostro sacro. Un confronto coraggioso, da parte di un autore che non si è lasciato intimidire dalla soggezione. Il risultato è migliorabile? Forse, ma certamente si può definire riuscito.