Damien Rice entra su un palco minimale e praticamente al buio. Lo attraversa. Dà la schiena alla platea, raggiunge la balaustra, guarda il lago e nota la natura che circonda l’incredibile Anfiteatro del Vittoriale. Prima di attaccare Stepped Out in the Rain chiosa:«immagino che gli alberi ascoltino». Si ferma e aggiunge:«chissà se gli alberi tra loro scelgono un albero preferito di cui si innamorano». Sempre avvolto nell’oscurità inizia a cantare e il silenzio viene trafitto dalla sua voce imponente e confortante. Una voce-strumento che si espande e si dilegua, diventa spazio e aria. E si inizia un viaggio che rivela un esorcista di dolori, un artista che sa prendere la vita per mano. Spesso le sue sono canzoni d’amore, dove l’amore si trasforma in dolore, gelosia, ossessione, malattia mentale, dipendenza: We might kiss when we are / When nobody’s watching / We might take it home / We might make out when nobody’s there / It’s not that we’re scared / It’s just that it’s delicate / So why do you fill my sorrow (da Delicate) . Musica lieve per un’anima antica, un suono ripulito di orpelli (sul palco è sempre solo a parte quel pugno di canzoni nelle quali lo accompagna la bravissima Francisca Barreto, voce e contrabbasso). Rice ci racconta la vita nel suo dipanarsi (Amie, I Remember), il canto intimo di un pomeriggio qualsiasi, la tristezza contenuta o urlata (Elephant). Ha tutto sotto controllo, in scena porta l’intimismo più sofferto e grande di tutto il pop contemporaneo, con una voce inarrestabile che freme e sembra aver paura. Un universo lacerato di passioni che sono il cuore di capolavori come My Favorite Faded Fantasy, che in una intervista alla BBC ha così raccontato: «La passione profondamente oscura e potente dell’amore romantico è una spinta incredibile. Ho scritto questa canzone in quel luogo in cui siamo ciechi. Ciò che chiamiamo amore ci appare come un giocattolo sottratto a un bambino dalla sorella o dal fratello. Lui sente di averne bisogno, non può farne a meno. Nella passione le dinamiche sono identiche».
Nove anni senza pubblicare un album sono un’eternità (My Favourite Faded Fantasy, 2014) eppure il suo tour, battezzato Sailboat perché quando è stato possibile si è spostato in barca fra un concerto e l’altro, è un trionfo (e le date americane di novembre e dicembre sono già sold out). Damien Rice dimostra che si può avere una carriera senza scendere a compromessi, imponendo un’assenza che viene accettata dal pubblico. Questo tour è di capitale importanza perché gli è servito come punto di ripartenza. La stampa inglese (Guardian, The Independent) ha annunciato che il cantautore irlandese è deciso a rientrare in sala di registrazione e avrebbe decine di canzoni pronte. Staremo a vedere, nel frattempo non si può non rimanere ammirati dal carattere personale e incatalogabile che hanno assunto i concerti di Rice, pervasi di un’atmosfera eterea e sognante che ogni tanto si appoggia a rarefatte componenti folk accentuate dall’uso del contrabbasso. Nella notte di Tener-a -mente è salita sul palco a sorpresa Francesca Michielin per interpretare (bene) 9 Crimes. La cantante italiana è una fan scatenata di Damien Rice, già nel 2016 i due artisti si esibirono insieme al