Kevin Costner: celebro il vecchio West come è stato vinto e perso attraverso il sangue, il sudore, le lacrime

Kevin Costner è tornato dietro la macchina da presa per cimentarsi con un mega progetto western in 4 capitoli,  Horizon: An American Saga. Un lavoro nel quale è  regista, sceneggiatore, attore protagonista, produttore e principale finanziatore. Ambientato 15 anni prima e dopo la Guerra Civile americana, segue i coloni prendere decisioni di vita o di morte in un periodo di grandi incertezze. “Il fascino del vecchio West come è stato vinto e perso attraverso il sangue, il sudore e le lacrime di molti”.  Durante la conferenza stampa è ritornato sulla trionfale accoglienza che il pubblico ha rivolto alla sua opera, sulla commozione che l’ha avvolto: “Spero che un giorno anche voi  proviate l’emozione che ho provato io alla proiezione del mio film. È stato un momento importante, mi ha fatto tornare indietro nel tempo nel vedere il pubblico così esultante. Ed è stato totalmente inatteso per me, che ho iniziato a guardarmi indietro, mi sono chiesto come ho fatto ad arrivare a Cannes. Tutto è possibile. Mio figlio era con me durante la proiezione ed è stato emozionante”.

 

 

Il soggetto
Mi sono molto documentato prima di mettermi a scrivere. Ho fatto molta attenzione ai costumi e ai dettagli della scenografia perché il film è ambientato all’inizio del 1800. Ho letto tantissimi libri e ho amato leggerli, ma ho anche consultato i giornali dell’epoca e le vignette. Ho iniziato a pensare a questo film quarant’anni fa e non ho mai abbandonato l’idea di portare in scena questo personaggio, che è letteralmente entrato nella mia vita. Ho chiamato uno dei miei figli con il nome del protagonista e gli ho affidato anche una parte in questo film, cosa che non sono solito fare, perché so che è pieno di giovani che vogliono emergere in cerca della loro occasione.

 

Il western
Non c’era nulla di semplice nel vecchio West perché era un mondo difficile, violento, senza regole, senza leggi, in cui le persone parlavano anche lingue diverse. Per tutte queste ragioni è difficile fare un buon western, ma io e il mio co-sceneggiatore Jon Baird abbiamo lavorato molto sui dettagli. Horizon è un film pieno di sparatorie e di momenti di forte pathos, ma per me la scena davvero simbolica è quella in cui una donna arrivata dall’Europa si scontra con tanta drammaticità con le regole della Frontiera che alla fine ha bisogno di lavarsi con acqua calda per purificarsi e togliersi di dosso lo sporco. In molti hanno pensato che avrei tagliato questa scena, ma per me sta lì l’esatto momento in cui i personaggi e lo spettatore entrano in contatto, perché cerco l’identificazione nel pubblico.
Non credo ci siano molte differenze tra Balla coi lupi e Horizon. Ho creduto che i nativi americani dovessero essere rappresentati con tutto il rispetto che meritano, esseri umani profondi e allo stesso modo ho pensato che anche questa storia valesse la pena di essere raccontata. Ho tentato, allora come ora, di affrontare le cose senza particolari filtri e di raccontare le cose come stavano.

 

 

La produzione
Non so perché sia così difficile trovare finanziamenti per questo film, non so perché è stato difficile spingere le persone a crederci come me. Non penso che il film di qualcun altro sia meglio del mio e viceversa, e non è una situazione nuova per me perché ci sono già passato con Balla coi lupi e Open Range. Ho pensato che qui a Cannes avrei potuto parlare con i miliardari e proporre loro di investire in Horizon visto che gli Studios non lo faranno. Io credo ancora nella magia del cinema. La sensazione che si prova quando si è in una sala cinematografica è unica, cosa che negli Stati Uniti non esiste più. Io ho voluto crederci e ho progettato una vera e propria saga in quattro parti, proprio per reiterare la magia del cinema, per rifugiarmi in questa magia. Ho già girato la seconda parte e ho iniziato la terza finanziando da solo questo grande progetto. Ho pensato che nella mia vita mi sono comprato un sacco di cose, perché sono stato fortunato. Ho comprato terre, case, che per me hanno importanza, hanno valore, ma ho anche pensato di non aver bisogno di quattro case, così le ho ipotecate. Forse non avrei dovuto perché il progetto era di lasciarle ai miei figli. Se non ho fatto un errore, quelle quattro case, però, potrebbero ancora averle. Se invece ho sbagliato dovranno cavarsela da soli.