Pedro Almodóvar: La stanza accanto non è un melò, ma un film contemplativo

Vincitore del Leone d’oro all’ultima Mostra di Venezia, La stanza accanto, primo lungometraggio di Almodóvar in lingua inglese, è l’adattamento cinematografico del romanzo Attraverso la vita di Sigrid Nunez che racconta l’ultima settimana di vita di una giornalista di mezza età. Martha (Tilda Swinton) e Ingrid (Julianne Moore) sono ex colleghe che la vita ha separato. Ingrid viene a sapere casualmente che l’amica è in ospedale. La raggiunge. Siamo a New York negli Anni 80. Martha le dice che sta per morire. Ma che vuole decidere come, dove e quando farlo. Ingrid accetta di fare da compagna della stanza accanto, dividendo con lei  la villa fuori città che l’amica ha scelto come sua dimora finale.

 

 

 

 

Una settimana di vita
Mi piace che in questo film che parla dell’ultima settimana di vita di una donna, il pubblico alla fine se ne dimentichi. La stanza accanto per me è un film ottimista. Io lo sono. Almudena Grandes, prima di andarsene, mi ha scritto una dedica: L’allegria e la felicità sono la miglior resistenza. La bellezza a me dà allegria e felicità. Poi certo dobbiamo lottare contro tutte le ingiustizie di questo mondo che è impossibile negare. Ma io sono ottimista. Credo nella lotta e nella bellezza. Nell’amicizia. Martha incarna tutto questo e Ingrid impara da lei anche a diventare più forte. E alla fine, quando appare la figlia Michelle che non ha fatto in tempo a incontrare la madre… Non facciamo spoiler ma è come una reincarnazione. Io non ci credo, ma credo che le persone che ami, gli amici che ami non ti lasciano mai.

 

Raccontare l’amicizia femminile
Ho 74 anni e mezzo e girare per la prima volta in America è stato davvero come girare un film di fantascienza. Ed è iniziata una nuova epoca della mia vita. Sono partito dal romanzo Attraverso la vita della scrittrice Sigrid Nunez, ma mi sono concentrato su un solo capitolo. Quello in cui Ingrid va a trovare Martha in ospedale: poi il mio film prende la mia strada. Anche l’ambientazione temporale, metà anni 80, diventa vaga, astratta. Perché non volevo fare un film sulla società americana, ma sull’amicizia tra due donne di mezza età. Ci sono tanti film d’amore, ma l’amicizia femminile non è così raccontata. Io volevo farlo, alla mia maniera. E se ci sono riuscito è grazie alle mie due attrici che hanno capito subito come volevo raccontare la mia storia. La stanza accanto non è un melò, ma un film contemplativo. Forse il mio primo.

 

 

Accettare la morte
Per me, come per il personaggio di Ingrid è impossibile capire che l’amica deve morire. Come può qualcosa di così pieno di vita dover finire? Per me, a 74 anni e mezzo, ogni giorno che passa è un giorno in meno. Invece continuo vorrei pensare di aver vissuto un giorno in più. Sono rimasto un fanciullo immaturo: non accetto la fine. Eppure la vita, dicono, dovrebbe servire a questo: accettare la morte.

 

L’autodeterminazione è un diritto
E la cosa strana è che la morte da sempre è parte della mia cultura. Sono l’uomo della Mancha, la regione dove sono nato che è impregnata del senso della morte. E sul set, nella casa, io sentivo che con me, Tilda e Julianne c’era anche lei. E non è stato brutto. Perché esattamente come il personaggi di Julianne anch’io ho accettato la presenza della morte nella vita. E a continuare a vivere. A godere le bellezze della vita. E, tema importantissimo, poter decidere della propria morte come si decide della propria vita. L’autodeterminazione anche nella scelta finale, è un diritto. Il personaggio di Tilda vuole vincere la sua battaglia contro il cancro e la pillola dell’addio, come la chiama, è la sua arma. In Spagna c’è una legge sull’eutanasia, ma dovrebbe esserci ovunque.