Peter Handke e lo sguardo disincantato sui microeventi quotidiani

Peter Handke è stato insignito del Nobel 2019 per: ” il suo lavoro influente che con abilità linguistica ha esplorato la periferia e la specificità dell’esperienza umana”. Lo scorso anno il premio non era stato assegnato per il caso di molestie sessuali che aveva coinvolto il marito di una giurata dell’Accademia, il fotografo Jean Claude Arnault. Per il 2018 il premio è andato alla polacca Olga Tokarczuk “per la sua immaginazione narrativa che con passione enciclopedica rappresenta il superamento dei confini come una forma di vita”. Polemiche a parte qualcuno lo legge oggi Handke? Ho i mie dubbi visto l’irriperibilità di molte opere (comunque volendo si può sempre andare in biblioteca…). Peter Handke ha conquistato la notorietà e l’attenzione della critica grazie al suo primo lavoro teatrale: Insulti al pubblico (1966), ha poi affrontato temi come la disumanità dell’essere umani, l’incomunicabilità senza scampo, il rifiuto di ruoli imposti, tutti espressi con un particolare lavoro sul linguaggio. Nella narrativa Handke sembra abolire l’ultima possibilità di raccontare un fatto unico e insostituibile per prediligere minuziose descrizioni di fatti casuali; ciò è però vero solo in apparenza perché avvenimenti e gesti acquistano gradatamente un che di irripetibile, vengono a costituire evento proprio perché Handke riesce a farceli percepire non più come appartenenti a una realtà di secondo grado, ma come segni di un mondo che, se pur meno appariscente di quello a cui siamo abituati, è accessibile a tutti e permette a ognuno di potere guardare più nitidamente dentro di sé. Handke ci mostra che, allenando questa nuova capacità di percezione è possibile scoprire un’immagine inattesa di sé e degli altri. E tutto questo in romanzi (Prima del calcio di rigore, L’ora del vero sentire, La donna mancina, La ripetizione – per citare qualche titolo-) in cui la narrazione viene ad avere uno spessore pressoché impalpabile, in quanto tutto si risolve in analisi lucidissime e sistematiche di particolari, sia appartenenti alla realtà esterna che ad un’altra interna.

 

Falso movimento di Wim Wenders, scritto da Peter Handke

 

Penso comunque che l’opera che lo rappresenta meglio è Breve lettera del lungo addio: una meticolosa capacità di descrizione che bordeggia con la noia. Una sovraeccitata sensibilità del nervo ottico che sconfina nelle visioni ad occhi chiusi. Le sue pagine sono abitate da una quasi assoluta incapacità di raccontare storie convincenti, con alcune splendide eccezioni, come ad esempio Infelicità senza desideri (per Claudio Magris “romanzo di un rapporto istintuale e fisico elementare come quello con la madre”), dove il trentenne scrittore austriaco si confronta con il suicidio della madre e si imbarca nell’impresa di “ricomporre con le parole quell’esistenza mancata, quella vitalità offesa e ridotta a meccanismo biologico e coatto”. Per essere chiari lo scrittore Peter Handke è portato a descrivere lo scricchiolio di una trave durante un consiglio di amministrazione, quanto assolutamente indifferente all’esistenza stessa del consiglio di amministrazione. Ma con lui la letteratura si è decisamente rifatta romantica; si è tornati all’osservazione  a un tempo disincantata e colma di pathos soggettivo dei microeventi quotidiani, in un movimento sempre più deciso di ritorno a casa – una casa che si può possedere solo nella descrizione stessa del viaggio, nelle parole. Anche con qualche accenno di intervento mistico da parte di madre natura, grande protettrice dei romantici di tutte le età. In realtà è difficile soffermarsi su una singola opera di Handke: di solito i suoi libri sono brevi e scritti per frammenti. Si può provare a indicare un punto di svolta in Breve lettera del lungo addio, romanzo in cui lo scrittore austriaco consuma il gioco freddo dell’avanguardia, per iniziare il suo cammino di vagabondo osservatore lungo i sentieri del vedere e del vero sentire. E questi sentieri sono, guarda caso,  anche americani, cioè rigenerativi, innocenti, ma come può esserlo una tradizione che si è sempre voluta tale e che Handke ha incontrato nella sua vera età dell’innocenza accanto a coetanei come i registi Werner Herzog e Wim Wenders (per il quale ha scritto la sceneggiatura di Falso movimento e con il quale ha scritto Il cielo sopra Berlino).

Prima del calcio di rigore di Wim Wenders, tratto da un romanzo di Peter Handke