Padrenostro di Claudio Noce è stato il primo dei 4 film italiani in concorso per il Leone d’Oro di Venezia 2020. «È la storia del padre di Claudio. Del mio. Di tutti i nostri padri. E dei nostri rapporti con loro», dice Piefrancesco Favino. In Padrenostro esordisce come attrice la figlia minore Lea di Favino: interpreta sua figlia.
Io e il film
Nel film sono entrato tre anni e mezzo fa. Con Claudio abbiamo preso un caffé in un bar di Roma e lui mi ha raccontato la sua storia. Mentre lui parlava io vedevo sempre di più me bambino con mio padre. Il nostro rapporto. Riconoscevo odori, sapori, silenzi. La mia infanzia si riaffacciava alla mia mente. Perfino le stanze della mia casa. Mi interessava Soprattutto perché, raccontando la storia con gli occhi del bambino, diventa il ritratto di una generazione che ha subito eventi terribili come il terrorismo da piccola, in silenzio. La mia generazione…Raramente è accaduto che qualcuno decidesse di raccontare quei bambini che, per gli adulti, quando andavano a letto non esistevano più. Anche a casa mia era così. Invece io, come accade nel film, mi alzavo di nascosto e andavo ad ascoltare dietro l’angolo. Sbirciavo…
La paura
Per me è il ritratto universale di un rapporto. La paura che c’è sotto. La paura del padre e della sua generazione di mostrare i propri sentimenti e la propria debolezza, e quella di un ragazzino che sta affrontando la crescita.
È il confronto tra la generazione di mio padre, per cui essere genitore era solo dare il senso della protezione e dell’autorevolezza, e la mia. Una generazione nascosta…Noi cinquantenni non abbiamo partecipato, per motivi anagrafici, a nessun grande evento storico. E per questo siamo stati sempre messi da parte. Io stesso, da ragazzino, rubavo le borse di iuta di mia sorella per sentire di appartenere anch’io a un movimento. Siamo passati dal niente al consumismo Anni 80. Io al massimo ho partecipato alla Pantera, il movimento di ribellione studentesca.
Una generazione laica
Un lato positivo c’è. Proprio perché non abbiamo potuto fare le grandi battaglie, siamo una generazione laica. Non ci schieriamo né per il bianco né per il nero. Siamo liberi di affidarci alla fantasia. Quello che vorrei cambiare è il nostro bisogno inconscio di chiedere scusa o il permesso. Sono stanco di chiedere scusa per non aver partecipato ai grandi eventi storici. Come il ’68. Sono nato dopo. E basta. Ho pensato a me. Sono andato dove mi ricordavo che da piccolo soffrivo, stavo male. Ho pensato più al rapporto con mio padre. Che a quello di Claudio col suo. Ho pensato a quei dettagli che sostituivano gli abbracci che mio padre non riusciva a darmi… Alla fine davvero questo film è una lettera d’amore a mio padre. Per me davvero Padrenostro è la storia di un figlio che diventa ometto e di un padre che capisce che deve mostrare le proprie debolezze. Padrenostro sono i nostri padri. E siamo noi…
Claudio Noce: la mia storia, il mio film
È stato un percorso lunghissimo, il mio. E molto doloroso. Il film è arrivato ora perché avevo capito che la mia storia privata poteva diventare universale. Per anni ho cercato come raccontarla: ma da che punto di vista?
Poi mi è venuta l’idea del ragazzino. Farla raccontare da lui. E farlo diventare il simbolo di un rapporto padre/figlio. Quello della mia generazione. Come l’abbiamo vissuto e lo stiamo vivendo noi. Il protagonista è mio fratello maggiore, che davvero quel mattino del 1976 vide l’attentato a mio padre Alfonso, da parte dei Nuclei Armati Proletari. Lui scese le scale di corsa con mio madre. Vide mio padre ferito e il poliziotto e uno dei terroristi rimasti sull’asfalto. La scena del film è davvero come accadde all’epoca. Io avevo 2 anni. Mia sorella lo visse anche lei, alla sua maniera. Era a scuola, quel giorno. Volevo raccontare anche la rimozione di quel fatto che ha coinvolto la mia famiglia. Per anni abbiamo cancellato tutto… Incontrare Pierfrancesco e lavorare con lui è stato determinante.