Pablo Larraín rilegge l’ultima settimana di vita di Maria Callas, nel settembre 1977.Ci sono lei (Angelina Jolie), l’autista Bruno (Pierfrancesco Favino), la cameriera (Alba Rohrwacher), un giornalista (Kody Smit-McPhee). E ci sono i suoi ricordi che compaiono, complici la musica (quella voce che non c’è più) e le domande del reporter: e così vediamo Onassis, morto due anni prima, e la sorella (Valeria Golino). Il filo conduttore è la Voce. Angelina Jolie canta le arie come Maria Callas avrebbe potuto fare in quegli ultimi giorni. La Voce non c’era più. C’era il suo ricordo. Che riaffiorava come le persone e le situazioni. I dischi come le fotografie sparse ovunque…
Pablo Larraín
Filmare la Voce
Perché un film sulla Callas? Perché ho sempre amato l’Opera e ho scoperto che i film che la raccontano sono davvero pochi. Poi c’era questa sceneggiatura bellissima. E c’era Angelina: senza di lei questo film non esisterebbe. Sono stato fan della Callas sin da bambino, e crescendo mi sono sempre chiesto perché il cinema – a parte rare eccezioni – non si sia mai interessato particolarmente ai cantanti d’opera, una forma d’arte eccezionale perlopiù ignorata dal cinema. Si trattava di fare un film su una delle voci più grandi della storia, forse la più grande, con una vita fantastica, bellissima. Pensando a questo con Steven Knight abbiamo capito che senza Angelina Jolie questo film non sarebbe mai esistito. Siamo partiti dalla domanda: come fare un film dove il personaggio principale diventa la summa delle tragedie che ha cantato? È una celebrazione, non un film dark, ma incentrato su una donna che ha trascorso la propria vita a cantare per gli altri e che adesso invece è pronta a prendersi cura di se stessa. Il nostro film è sulla Voce più grande di sempre. Maria Callas è stata la sua Voce. Perché sei Divina, un’icona, nel momento in cui dimostri di avere ed essere qualcuno che nessun altro ha o è. E lei di unico aveva quella Voce. Ha quella Voce. Era ed è per sempre quella Voce.
La preparazione
Per preparci ci siamo chiusi in una stanza. C’eravamo io, lo sceneggiatore e Angelina. L’insegnante di Angelina è stata la Callas stessa che aveva anche insegnato musica e canto. Per quasi sette mesi, Angelina prima ha ascoltato tutte le sue lezioni più volte. Poi è passata alle sue incisioni. Dalla più “semplice”, l’Ave Maria, alla più difficile: l’Anna Bolena. Sono quelle che canta nel film. E da quella stanza piccolina di Los Angeles, siamo passati, alla fine del training, alla Scala di Milano. Doveva sapere cosa significa cantare nel più bel teatro del Mondo, con la Voce più bella di sempre.
Angelina Jolie
L’emozione
C’è voluta una lunga preparazione, perché poco a poco subentra il personaggio e l’emozione. Ho consentito a quelle emozioni di entrare quando mi sono sentita pronta, tentando di fare qualcosa che non avevo mai fatto prima. Il problema per me è sapere se sono stata abbastanza brava da non deludere i fan di Maria Callas. Sono grata per la risposta al mio lavoro, ma sono più preoccupata di scontentare chi l’ha sempre amata. Non volevo deludere questa donna e la sua memoria. Però ho sempre pensato che niente ci racconta come la musica. Noi e le nostre emozioni. Perché noi siamo i sentimenti che ci portano ad ascoltare in ogni singolo momento della nostra vita una musica o un’altra. La mia vita e i mie dolori potrei raccontarli sulla base delle canzoni che ho ascoltato. Da giovane ero una punk che ascoltava i Clash. Li ascolto ancora, ma crescendo ho capito la grandezza dell’Opera. La Callas, la sua musica la faceva con la Voce.
Il ritratto di una donna
Pablo mi ha prima presentato i personaggi che lei portava in scena. Perché lei era quella Voce e quei personaggi. Era la donna che costruiva, creava, le donne a cui dava voce. Non il contrario… Fino a quell’appartamento parigino. Al chiuso. Quando la Voce non c’è più e lei, abbandonata dai critici, cerca di far loro capire che esiste ancora. L’incontro col giornalista rappresenta questo. Una sua occasione di dire che lei c’è ancora. Per poi rinchiudersi di nuovo, tra quelle mura e con le due persone che sono la sua famiglia. Lei che con la famiglia vera non ha mai avuto un rapporto facile. Ci sono lei e loro, che si occupano di lei, le spostano il pianoforte, le contano le pastiglie e giocano con lei a scopone scientifico. Non volevamo fosse un film doloroso, ma il ritratto di una donna dalla vita bellissima e tragica. Poi è vero, come dice Pablo: è un’illusione, una interpretazione. Forse non è andata così, ma è bello pensare che forse sì. Può essere accaduto.