In una intervista di alcuni anni fa alla BBC Peter Weir riconosceva: “Il lavoro sulla luce e lo studio dei colori di pittori come Tom Roberts e Arthur Streeton sono stati di grande ispirazione per la mia formazione come regista. Mi hanno aiutato a cogliere la luce e l’essenza del paesaggio australiano.” Ora, finalmente, gli impressionisti australiani sono sbarcati per la prima volta in Europa, a Londra fino al 26 marzo. La National Gallery ospita infatti Australia’s Impressionists, una mostra che offre ai visitatori la possibilità di ripercorrere la storia di un movimento artistico arrivato inaspettatamente anche in una terra ai confini del mondo. Quello australiano è un Impressionismo molto diverso dal movimento che siamo abituati a studiare sui banchi di scuola: le ninfee di Monet, i colpi di luce di Renoir… un’arte il cui fraseggio si esprime sostanzialmente per macchie di colore. Quasi tutti gli artisti australiani, ad eccezione di Russell, realizzano invece composizioni nitide, piuttosto dettagliate, che a prima vista hanno poco a che vedere con il movimento tradizionale. Quello che li associa alla corrente è però il gusto per la pittura en plein air, all’aria aperta, l’attenzione per il paesaggio, che diventa soggetto principale di quasi ogni quadro, e l’inarrestabile voglia di cogliere l’attimo: il carpe diem oraziano è per gli artisti di Melbourne, come per gli impressionisti francesi, l’imperativo categorico della loro arte, e si traduce sulla tela nella resa di un’impressione, della meravigliosa, imperfetta naturalezza di un volto o di un gesto. In apertura: Les aiguilles belle, John Peter Russell, 1890.
Di questo stampo sono soprattutto i quadretti che ci si presentano nella sala d’apertura della mostra, realizzati sui coperchi delle scatole dei sigari, in quanto facilmente trasportabili. La prima mostra degli Impressionismi australiani, che ebbe luogo a Melbourne nel 1889 (15 anni dopo quella del circolo francese) prende appunto il nome di 9 By 5 Impression Exhibition, dalle dimensioni (9×5 pollici) di tali coperchi. Da questi semplici snapshots, spaccati di vita delle città di Melbourne e Sidney in rapido sviluppo, pittori quali Roberts, Streeton e Conder ci conducono poi attraverso i grandi paesaggi della loro terra d’origine – le coste sconfinate, le lande grezze dominate dagli arbusti – cogliendone le varie specificità, così da far emergere dalla loro pittura un certo senso di identità nazionale, in un’Australia che si avvicinava passo dopo passo al Federalismo. Al tempo in cui queste scene paesaggistiche vennero rappresentate, infatti, l’Australia non era ancora un Paese indipendente. Fu soltanto nel 1901che le sei colonie di Queensland, New South Wales, Victoria, Tasmania, South e Western Australia si unirono a formare la terra che noi oggi conosciamo. I pennelli di questi artisti, a ben vedere, sono stati un po’ delle bacchette magiche: lungi dall’essere soltanto gli iniziatori di un nuovo tipo di Impressionismo, in quel periodo i pittori stavano anche tratteggiando la nascita di una nazione. L’ultima sala, la terza, ci riporta con Russell (qui a fianco Cruach En Mahr, Matin, Belle Ile En Merri, 1891) ad una cifra artistica che ci è senz’altro più familiare: l’artista infatti, avendo speso la maggior parte della sua carriera in Francia, era venuto a contatto con il circolo di Monet e con il suo unico modo di dipingere, e ne era stato grandemente influenzato. Come il pittore delle ninfee, anche Russell tra i tanti variegati quadri che realizza decide di cimentarsi nella rappresentazione ripetuta di uno stesso soggetto: così, le diverse varianti dell’accidentata costa di Belle-Ile, con le sue acque increspate e burrascose e le sue rocce a picco, diventano il suo omaggio alla cattedrale di Rouen, rappresentata da Monet in ogni salsa, a qualunque ora e sotto ogni condizione climatica. Ma è un po’ tutta l’arte europea, non solo l’Impressionismo, a dare la scossa alle membra sensibilissime del pittore Russell: anche lo stile di Matisse e dei suoi Fauves, per esempio, fornirà all’australiano la tecnica con cui dipingere, sostanzialmente un ritorno alle ruggenti macchie di colore e alle sferzanti pennellate a cui i suoi connazionali avevano preferito una pittura più nitida e attenta al dettaglio. Attraverso un percorso graduale in tre sezioni, la mostra della National Gallery esalta quindi l’interesse dei pittori che ne sono protagonisti per la possibilità di adattare il linguaggio dell’Impressionismo europeo al paesaggio dell’Australia del loro tempo e a tutto ciò che più o meno la riguardava, le sue brulicanti città in crescente espansione, la sua natura e l’intersezione, con essa, dell’elemento artificiale. Ma, soprattutto, i pittori australiani offrono ai loro concittadini e al loro pubblico la lente attraverso cui guardare il loro mondo: una lente che riflette la forte amicizia creatasi all’interno di questo gruppo di artisti (fatta eccezione per l’espatriato Russell), coordinandone interessi e scopi, e che mostra, di quest’arte, anche il risvolto politico. Una lente che ha il colore dell’indipendenza.