Sono passati quattordici anni da quando il Borat di Sacha Baron Cohen esordì sul grande schermo e venne consacrato agli occhi di tutto il mondo, non solamente a quelli degli spettatori dello show televisivo in cui faceva capolino. In quattordici anni sono cambiate tante cose, soprattutto negli Stati Uniti. Se nel primo film il giornalista kazako faceva irruzione in America per prendersi gioco di usi e costumi e mettere alla berlina una nazione governata da un presidente, George W. Bush, a cui già il cinema aveva dedicato buona parte della satira più estrema (non dimentichiamoci che nel 2004 Michael Moore vinse Palma d’oro con il celebre Fahrenheit 9/11), oggi Borat sente il richiamo di un ritorno. Così, esattamente come Fahrenheit 11/9 ha fatto da “sequel” al film citato poco fa, ecco che anche Sacha Baron Cohen ha deciso di portare nuovamente in scena la sua maschera più dissacrante proprio in questi anni di governo Trump. Trattandosi di una sorta di mockumentary o comunque di un misto tra narrazione e sketch in presa diretta, il lasso temporale che separa i due film è il medesimo anche nella finzione. Dopo quattordici anni passati ai lavori forzati nel suo Paese natale a causa della figuraccia generata dal primo lungometraggio, ora Borat sarà nuovamente spedito negli Stati Uniti con la missione di ingraziarsi la presidenza portando loro un dono.
Borat – Seguito di film cinema. Consegna di portentosa bustarella a regime americano per beneficio di fu gloriosa nazione di Kazakistan (da qui in avanti Borat 2) prova a smarcarsi dall’unicità alla base del progetto originale per cercare di proporre qualcosa di simile ma al tempo stesso diverso. Da una parte infatti le gag comiche improvvisate e supportate con estrema versatilità da Sacha Baron Cohen e dalla bravissima new entry Marija Bakalova costituiscono i momenti più spassosi e pungenti del film, proprio come era stato nel primo capitolo. Dall’altra è evidente l’idea di provare a costruire un impianto narrativo capace di intrecciarsi a doppia mandata con la contemporaneità di questi mesi. Non solo infatti le elezioni presidenziali statunitensi e le relative campagne elettorali saranno alla base della trama e dell’agire dei personaggi, ma anche la pandemia mondiale diventa motore di azione e di “finzione” scenica. Così, Borat 2 non è tanto una satira più o meno esplicita nei confronti di “McDonald Trump”, quanto una drammatica denuncia di quello che gli ultimi 4 anni di politica presidenziale hanno generato. Il Covid, sembrerebbe suggerire il film, è solamente uno dei due virus che in questi tempi stanno contagiando la società statunitense e mondiale. L’altro è ideologico, politico, più subdolo e minaccioso. Sacha Baron Cohen non ha peli sulla lingua e tra estremisti religiosi, politici sgradevoli (ricorderemo a lungo la sequenza con Rudy Giuliani), negazionisti e via dicendo, ci introduce in un viaggio alquanto macabro e più vicino a un incubo che a un sogno americano. Per fortuna che si ride, e non poco.