Su MioCinema Bad Luck Banging or Loony Porn, Radu Jude tra pubblico e privato

Il film inizia praticamente su Pornhub: categoria video amatoriali, sottocategoria POV… Parrucca fuxia in testa, mascherina sulla bocca: il sesso al tempo del coronavirus per Emi è un gioco d’intimità da riprendere col cellulare, salvo poi ritrovarsi, senza sapere come, sul web porno. E di conseguenza sulle chat dei genitori dei suoi alunni… E visto che insegna in una scuola d’élite, dover affrontare il giudizio del consiglio, che vuole la sua testa per difendere l’onore dell’istituto. La sinossi è tutta qui, ma Bad Luck Banging or Loony Porn (in concorso alla Berlinale 71) è il nuovo film di Radu Jude e quindi la linea narrativa è conseguenza diretta di quella posa in opera capace di empatia realistica, astrazione teorica, formalizzazione finzionale che marca il suo cinema. Il film, dunque, inizia su Pornhub ma, nella scansione in tre parti (più altrettanti finali…), continua con l’impassibile flagranza dei Lumière, poi squaderna un glossario per immagini d’ipocrisia socio-storiografica che sa essere tanto esilarante quanto inquietante, e quindi si spinge in un processo burlesque che è un ironico florilegio dei fascismi sessisti del pensiero sociale edificante, applicato alla teoria del confine tra pubblico e privato nella vita contemporanea.

 

 

Se aggiungiamo che il film è stato girato durante il lockdown, si capisce che lo spunto iniziale è diventato, sul set, una sorta di esperimento in vitro sull’abbattimento dei confini tra identità privata e identità sociale indotta nella nostra vita dall’emergenza globale in atto. Quella stessa emergenza, per intenderci, che ci costringe a vedere in privato, nel chiuso delle nostre case, questi film che vengono programmati in un evento pubblico chiamato festival trasformato in un luogo astratto… Ma questa è un’altra storia, quel che conta rispetto a Bad Luck Banging or Loony Porn è che il film gioca in leggerezza con la gravità teorica dell’assunto messo in gioco e lo fa con un’intelligenza che sfuma in ironia tanto l’assetto tematico della rappresentazione quanto la speculazione della messa in scena. Lo capisci da come trascolora dalla pornografia del point of view nell’incipit alla prise de vue lumèriane della seconda parte, in cui segue Emi per le strade di Bucarest, soffermandosi preferibilmente sulla visione scenica, sulla struttura dei palazzi, sul gioco relazionale tra le figure in campo. È come se il corpo sociale, inteso proprio come immagine complessiva, come campo lungo, fosse offerto nella sua nudità narrativa, nella sua neutralità, per spaginare la costruzione logica che ammanta l’ipocrisia dello stare insieme secondo regole storicamente accettate.

 

 

Regole che poi Jude squaderna nella straordinaria sequela di aforismi per immagini in cui struttura il piccolo dizionario che compone la parte successiva, lasciando esplodere con tutta la sua virulenza ironica l’ordine apparente delle cose nel disordine frammentato e allucinante degli eventi. Sicché non ci si stupisce nel ritrovarsi poi sul set quasi mélièsiano del processo finale, in cui la formulazione letteralmente burlesque del dibattito tra accusa e difesa si colora di cromatismi incongruamente gelatinosi, mentre tutta la volgarità del pensiero diventa il costume astratto indossato dagli astanti per aggredire e violentare l’insegnante, in una vera e propria inversione di segno del point of view pornografico dell’incipit. Bad Luck Banging or Loony Porn diventa insomma un piccolo trattato sul rapporto tra l’identità individuale e quella condivisa della società, continuando in questo il cammino che Radu Jude ha tracciato nei suoi lavori precedenti. Qui c’è una leggerezza che dialoga con il greve mostrando una maestria che altre volte il regista aveva messo in atto nel contrasto tra serenità apparente e violenza endemica. Si resta comunque intrappolati nel gioco logico di questo cinema estraniato eppure così coinvolgente.