La vita è questione di punti. Il punto di vista, il punto di rottura, il punto di non ritorno… E naturalmente il punto di ebollizione. In Boiling Point la pressione sale inesorabilmente facendo sì che i vari punti alla fine coincidano e rendano inevitabile l’esplosione (come anticipa il superfluo sottotitolo italiano). Girato in un unico piano sequenza con la macchina a mano che tallona i personaggi restituendone gli stati d’animo, Boiling Point è il bellissimo esordio dietro la macchina da presa dell’attore Philip Barantini, anche autore della sceneggiatura con James Cummings, estensione dell’omonimo cortometraggio del 2019 presentato con successo a numerosi festival. Barantini sa di cosa parla perché per mantenersi in passato ha lavorato nelle cucine di ristoranti londinesi, diventando head chef per due anni.
Il film comincia nel momento dell’arrivo dello chef Andy Jones (Stephen Graham) nel suo ristorante, uno dei locali più in voga di Londra. La vigilia di Natale è una giornata particolarmente critica e Jones non è nelle migliori condizioni per affrontarla dal momento che è sotto pressione su tutti i fronti: ha problemi familiari con la ex moglie e si sente in colpa con il figlio che trascura – come si evince dalle telefonate continuamente interrotte -, deve fare i conti con un ispettore del lavoro che proprio quel giorno ha effettuato dei controlli segnalando irregolarità non ammissibili in un ristorante di quel livello, mancano alcuni ingredienti fondamentali che compongono il menù della serata perché Andy non ha chiamato i fornitori, non tutto il personale è al suo posto di lavoro e la dispotica Maître (Alice Feetham) mal vista dal personale, ha accettato troppe prenotazioni. La sous-chef Carly (Vinette Robinson) sta coprendo Andy da troppo tempo ed è anche lei sul punto di sbottare. Quando arrivano i clienti la situazione non può che peggiorare. Tanto più che tra gli avventori c’è Alastair Skye (Jason Flemying), mentore di Andy che ha lavorato a lungo per lui, ora diventato star della tv e autore di libri di successo, che si presenta al ristorante in compagnia di Sarah Southworth (Lourdes Faberes), importante critica gastronomica (a cui spetta la bellissima battuta sull’arte della critica: «Fare una recensione è come il sesso. Ci si basa solo su quello che c’è, non su quello che manca») mettendo in ulteriore difficoltà Andy che si sente, a giusto titolo, sotto esame.
Un’immersione in tempo reale nella vita e nelle dinamiche di una cucina, tutto avviene sotto gli occhi degli spettatori, presentato con grande efficacia e senza moralismi: melting pot, razzismo dei clienti, sottomissione («Sì chef» è l’unica risposta ammessa nella brigata), invidia («Andy ha sempre avuto bisogno di me per essere eccellente» dice Skye), autolesionismo, cocaina e alcol per reggere i ritmi frenetici, spietatezza… Barantini è abilissimo nel realizzare un film corale in cui accenna alla storia dei tanti personaggi coinvolti, aprendo squarci di un mondo dietro ognuno di loro che in alcuni casi tocca allo spettatore colmare, mantenendo sempre alta la tensione in quello che finisce per essere a tutti gli effetti un thriller scritto e diretto magistralmente. Nel Regno Unito il successo è stato straordinario – e meritatissimo – tanto che la BBC ha già annunciato una serie in cinque episodi tratta dal film e incentrata Carly diventata head chef di un ristorante, le cui riprese sono previste a inizio 2023.