La brutale lotta per il potere di La cospirazione del Cairo di Tarik Saleh

Adam, figlio di un’umile famiglia di pescatori, lascia il suo villaggio costiero dopo essere stato ammesso all’Università Al-Azhar, il più prestigioso istituto di studi dell’Islam sunnita egiziano. Un privilegio che il padre, austero ma amorevole, ritiene conseguenza di una suprema volontà divina e al quale non riesce a opporsi. Adam si inserisce ben presto nella ragnatela di rapporti – segnati dalle diversità nascoste a fatica dai differenti imam – che regolano la vita della scuola. Ma quello che in superficie sembra un luogo di approfondimento spirituale, si rivela ben presto un crocevia indispensabile al difficile equilibrio di potere tra Stato e religione, in cui per sopravvivere bisogna saper scegliere la propria parte in un crescendo di sopraffazione e doppio gioco. Tarik Saleh, dopo il brillante noir Omicidio al Cairo, torna a indagare in La cospirazione del Cairo il delicato rapporto istituzionale e la brutale lotta per il potere che caratterizza la politica egiziana. Adam, il cui nome indica una purezza destinata al peccato, osserva con gli occhi limpidi dell’outsider le vari posizioni strategiche dei suoi insegnanti, ne studia le mosse fino a essere coinvolto in prima persona nelle lotte intestine dell’Università, arrivando a capire le risonanze dirette che queste hanno sulla cosa pubblica. La morte improvvisa del Gran Imam, guida spirituale del Paese, scatena una lotta per la successione che coinvolge le più alte cariche dello stato.

 

 

L’atteggiamento di Adam si adatta rapidamente alle necessità politiche che la situazione impone: egli stesso diventa contemporaneamente pedina e manipolatore, si mostra disposto a cambiare il suo destino in quella che diventerà ben presto una lotta per la sopravvivenza. Saleh, dopo un breve incipit che narra il quotidiano del suo protagonista, immerge la storia nelle camerate e nei cortili dell’Università, dove le varie anime dell’Islam egiziano – lezioni/prediche a pochi passi di distanza che affermano e professano ideologie diverse, se non contrapposte – forgiano le nuove leve di fedeli. In stanze speculari, il potere politico cerca, con un uso spregiudicato della violenza, una pacificazione nazionale che nasconda e reprima eventuali conflitti. Saleh costruisce in un crescendo ansiogeno la sua narrazione, mescolando momenti quasi spionistici a toni da dramma esistenziale. La cospirazione  del Cairo si pone laicamente a una giusta distanza di osservazione dal rovente argomento narrato, descrivendo meccanismi amorali che stridono con la ricerca di una dritta fermezza etica. Gli imam, i responsabili della sicurezza nazionale, gli alti gradi dell’esercito sono rappresentati nelle loro molteplici sfaccettature – nel loro plastico sentimento di autoconservazione – tutti pronti a perpetuare il loro privilegio usando e disfacendosi di chi potrebbe ostacolare il loro cammino. La cospirazione del Cairo mette in scena un parallelo discorso metaforico che oppone le mille braccia del Potere a chi quel Potere deve servire per salvaguardare la propria esistenza. Sotto le fattezze del film di genere, Saleh racconta una distanza quasi hitchcockiana tra cittadino e legge, terrena o celeste che sia, soprattutto in un posto emblematico come l’Egitto, tristemente noto nella cronaca in questi ultimi anni. Il risultato, salvo qualche sparso schematismo che a tratti narcotizza il racconto, è un apologo cupo e implacabile in cui il singolo viene sacrificato per un’idea elitaria di comunità; in cui le vittime accidentali di una guerra morale sono costrette a sopravvivere attraverso la mistificazione e l’inganno; in cui si afferma con coraggio, come recitava una vecchia canzone, che non ci sono poteri buoni.