I diari di Angela – Noi due cineasti: amore e memoria di Yervant Gianikian per Angela Ricci Lucchi

Nessuna volontà di contenere una storia lineare, quanto semmai di trattenere un’immagine, una memoria. Un’opera d’amore (non ci sorprende cogliere in lacrime all’uscita una ragazza, a loro di certo legata). L’amore di Yervant Gianikian per Angela Ricci Lucchi, scomparsa la notte del 27 febbraio scorso,visto attraverso I diari di Angela – Noi due cineasti, il film portato fuori concorso alla 75.ma Mostra del cinema di Venezia, A lei, già Leone d’Oro alla Biennale Arte nel 2015, questa edizione è stata dedicata, insieme a Olmi, Vanzina e Fratelli Taviani. Evidente l’intento di elaborarne il lutto, facendo quello che sempre ha contraddistinto il loro cinema: farne archivio, per riaprirlo come opera in azione. Quella stessa azione, secondo i due autori assente al tempo contemporaneo, perché “non-politico, non-estetico, non-educativo, non-progressivo, non-cooperativo, non-etico, non-coerente” (“NON NON” il loro manifesto per la retrospettiva del 2012 nell’Hangar Bicocca di Milano). Eppure basterebbe essere artisti, nulla di più. Questa la convinzione etica, politica, estetica, educativa, progressiva di una coppia artistica fondata sulla cooperazione. Un’esperienza di cui il film non tenta di dare un puntuale resoconto, pur iniziando dal loro primo incontro. Un piccolo film che nella sovrapposizione e nella dilatazione del tempo di creazione, racchiude in nuce sia la loro arte sia la loro esperienza umana.

 

Erat-Sora è un cortometraggio in 8mm. Il titolo è l’anagramma del titolo di una poesia di Ezra Pound (anche questa pratica dello spostare e rimontare farà parte della loro arte per sempre). In realtà Angela Ricci Lucchi aveva girato questa pellicola amatoriale molto prima di incontrare Gianikian,nel 1974, e lei, non cineasta, ma pittrice allieva di Oskar Kokoschka, non si era curata di farlo sviluppare e l’aveva abbandonato. In quel periodo inviava per lettera a diversi personaggi e artisti (tra questi Zavattini) la domanda“che cos’è per te una rosa?”. Gianikian, appena conosciuto per un contatto con i poeti del Gruppo63, gli aveva risposto con una serie di oggetti filmati. Ed essendo lui un autore di film d’arte in 8mm, lei riesuma la sua pellicola e gli propone di sovrapporci altre immagini, rimettendola in macchina da presa prima di svilupparla. Nasce così la loro relazione e anche il primo dei “film profumati” della coppia, nel 1975. Ignorati sia dal sistema dell’arte sia dal mondo del cinema, il film riparte dalla prima retrospettiva del 2012 a Milano, e prosegue spesso di retrospettiva in retrospettiva (BFI Londra, Cinématèque, Fondazione Cartier e Centre Pompidou Parigi, e ancora Filadelfia e Berlino), quasi a segnare un’uscita dal tunnel e l’inizio di un lavoro, anche per loro, di sguardo d’insieme. Molti i video privati, molte le foto, talvolta compare la moviola, verso la fine, ma protagonista assoluta è la carta.

 

Quella dei diari sfogliati con grazia e letti con precisione, per brevi tratti, con attenzione alle copertine, alle prime pagine, ad altre aperte volutamente a caso. Oppure la carta dei grandi rotoli istoriati (il “rotolo russo” iniziato l’11 aprile 2016 e finito già il 10 maggio dello stesso anno), dove Angela Ricci Lucchi metteva in fila un acquerello dopo l’altro, a costruire linearità da precinema. D’altro canto la loro è stata una archeologia del cinema, un oltrepassare la (NON)contemporaneità, scavando non tanto nel tempo quanto nella materia del cinema. Riutilizzando le riprese, manipolandole all’infinito, facendole incontrare con altri depositi filmici (non ultimo il lavoro su Luca Comerio, uno dei primi cineasti italiani a cui da anni si sta prestando grande attenzione, da parte di Sergio Grmek Germani, per esempio, che alle Giornate del Cinema Muto ha costruito un vero e proprio catalogo anno dopo anno di questo immenso patrimonio milanese). Uno scavo, il loro, lontanissimo da qualsiasi formalismo sperimentale. Uno scavo umano, nel solco delle guerre, dei rapporti di classe o di sottomissione (i Safari dell’uomo bianco o l’uomo bianco in abito e occhiali con dietro le indigene nude), delle contraddizioni tutte del Novecento, un secolo dove “la televisione vince la guerra in corso con una nuova guerra”. Devastante il loro viaggio a Sarajevo, per viverne le macerie e chiedersi se anche un aiuto o un impegno abbia senso senza prima arrivare a “capire Sarajevo per evitare altri disastri. Altrimenti perché andarci?”. Smontare e rimontare film e memorie (il che vuol dire ogni volta scartare e consegnare pezzi all’oblio), come atto di pensiero critico. Un pensiero che non può permettersi di mettere la parola fine e che per questo lascia le loro opere aperte (sin nei titoli, come Materiali non montati per un film da fare: interni a Leningrado del 1990).Una su tutte, quella ancora da farsi su Walter Chiari, un diario di viaggio fatto insieme in Armenia, patria dei nonni di Gianikian, dove l’attore amico sembra aver ritrovato, lui pugliese, la sua patria, lasciandosi andare a balli, brindisi e lazzi. Un viaggio da cui era già nata un’opera chiave nella loro filmografia, Ritorno a Khodorciur ‒ Diario armeno del 1986. A Walter Chiari, anni dopo, nel 2009, era stato dedicato un frammento di cinque minuti, Ti regalerò il mio ultimo respiro. Un’opera, questa su Walter Chiari, che Gianikian si ripromette di compiere… insieme ad Angela. Perché, per lui, loro continueranno a lavorare insieme e i Diari di Angela ne sono lo strumento. Lei che quando le chiedevano l’autografo di entrambi, firmava per tutti e due “perché così facciamo sempre”.  E saranno quindi ancora le tracce della sua mano a guidare le nuove opere di Yervant Gianikian. La stessa mano che (climax inaspettato e teso del film) ci racconta proprio di lui, con commozione. Un piccolo, grazioso inserto filmico per acquerelli, che ci tiene con il fiato sospeso, mentre lei ricostruisce il giorno in cui lo aveva visto prendere fuoco e poi tutti gli angoscianti giorni a seguire, sino alla guarigione. Un battesimo di fuoco che purtroppo non ha toccato Angela. Nel gennaio 2016 lei scrive di “una nuova svolta”. E aggiunge che“il tempo è diventato prezioso”. La vediamo raccogliere i pomodori dicendo “questa è la nostra ultima raccolta”. Parte infine una sequenza di lei nelle diverse occasioni di viaggio che sorridente punta e fotografa,usando tante macchine usa e getta, di cartone. Altre annotazioni, altri diari. Perché Gianikian possa, con lei, continuare a fare cinema.