Con l’ambiguità che contraddistingue i suoi personaggi chiaroscurali, infatti, Friedkin recita la parte dell’anziano mogul che non vede di buon occhio i successori – e in una scena rivela che lo stesso Fritz Lang si era comportato così con lui – salvo poi “incoronare” Damien Chazelle fra i talenti su cui puntare l’attenzione, come a ribadire che lui la scena contemporanea la segue e la conosce eccome! Nello stesso tempo approfondisce i suoi metodi di lavorazione, il piacere del “buona la prima” e del cogliere la spontaneità, pur all’interno di strutture molto documentate per restituire il maggior realismo possibile – un ruolo molto cospicuo, fra le testimonianze, è affidato ad esempio a Randy Jurgensen, che affiancò i veri poliziotti a cui si ispirano i personaggi del Braccio violento della legge e che ha poi ricoperto il ruolo di consulente per il film. La chiosa più ficcante è probabilmente quella affidata a Quentin Tarantino, che ricorda il divertimento testimoniato da Friedkin per il polverone alzatosi attorno a Cruising: in barba ad altri ritratti più dolenti – come quello che emerge dalla conversazione con Nicolas Winding Refn – il “personaggio” Friedkin emerge così quale un autore felicemente scomodo, un guastatore fiero di riverberare un’idea di cinema capace di scuotere le coscienze e le opinioni. Un cinema che davvero può, se non salvare, sicuramente cambiare la vita di chi lo ha seguito nel corso di tutti questi anni.