La fiducia della fiaba: Raya e l’ultimo drago, di Don Hall e Carlos López Estrada

La tentazione è quella di vedere Raya e l’ultimo drago (su Disney+) come una sorta di versione “positiva” (e propositiva) del Trono di spade: qui come lì, infatti, abbiamo un regno diviso in varie regioni tra loro ostili, una protagonista che mira a essere la chiave di tutto e ha un legame speciale con i draghi, mentre la lotta per il potere è fonte di un ragionamento più o meno articolato sul fidarsi o meno del prossimo. Niente “gioco delle morti eccellenti” però, com’è giusto che sia trattandosi di un racconto tutto sommato solare, orientato a riscoprire il valore della fiducia in un mondo che si è ormai tarato sulla sopraffazione reciproca. È questa infatti ad aver partorito i peculiari nemici che trasformano la gente in pietra (i Druun), mentre la missione di Raya per salvare il padre e il mondo passa per un rapporto complesso, una vera e propria triangolazione che vede agli altri due vertici l’amica e rivale Namaari (il cui tradimento ha non a caso rafforzato l’avanzata dei Druun, scavando un solco ancora più profondo nella divisione tra i regni) e ovviamente il drago Sisu. Quest’ultima, dal canto suo, è una creatura decisamente lontana dalle fiere alate di Martin e compagni, e più vicina alla tradizione serpentiforme degli esemplari cinesi. Ma c’è di più: in barba alle leggende che l’hanno dipinta come una figura di chiaro eroismo, Sisu è al contrario l’anello debole della famiglia, quella più ingenua e priva di grandi poteri. Riecheggia un po’ l’agire sopra le righe della Dory di Alla ricerca di Nemo, ma quando la vediamo librarsi nelle acque e “scalare” i cieli usando la pioggia come magico sostegno, fino a raggiungere le nubi, il pensiero corre pure al Falkor de La storia infinita. Come lui è a suo modo una portatrice di saggezza e nelle sue gag si annidano pure quelle divertenti (e irriverenti) frecciatine alla stolida drammaticità dell’eroina di turno.

 

 

Certo, niente muso canino, sebbene l’ibridazione visiva possa ravvisarsi nell’altro compagno di Raya, lo strano orsetto-armadillo Tuk Tuk, che diventa una possibile chiave interpretativa per un progetto “a metà”: un po’ fiaba orientale, un po’ racconto di formazione puramente occidentale (con una morale così evidente da chiarire subito il target per spettatori molto giovani), secondo un modello già affrontato di recente in casa Disney (si pensi alla nuova versione di Mulan). E poi un cartoon in CGI – caratterizzato da una notevole e realistica resa delle risposte dei corpi nei duelli, con le figure che accusano i colpi, cadono e si affaticano – ma che non dimentica le strade già percorse, attraverso flashback in 2D o addirittura un momento di “rievocazione storica” con animazione in silhouette da Lotte Reiniger rediviva. In questo senso, sì, i paralleli evocati a proposito di Raya e l’ultimo drago trovano una ragione d’essere in un racconto semplice, anche prevedibile e congegnato secondo i più classici parametri industriali, ma capace di evocare comunque scenari altri. Questa è una storia che si apre a un confronto non sterile e che riesce perciò a dare forma a una parte finale emozionante, in cui il rovesciamento del cinismo imperante nella narrazione seriale si fa sincera dichiarazione d’intenti verso un futuro (si spera) migliore. Ecco quindi che davvero il film di Don Hall e Carlos López Estrada si fa racconto nella più pura tradizione americana della formazione di una comunità: non solo perché la protagonista deve riunire un regno distrutto, ma anche per come a ogni tappa del viaggio annette un nuovo compagno alla sua missione. Lo fa, si badi, non con la costrizione o l’arruolamento, ma con la naturalezza della condivisione d’intenti, creando in questo modo un’altra interessante opposizione: quella fra il fardello dell’eroe solitario e la forza del gruppo che le si stringe intorno. In questo modo, il racconto apparentemente individuale, si fa storia corale. Non a caso da sola Raya perde più di un duello, e la missione diventa via via una questione di risolvere il conflitto con Namaari, coinvolgendo sempre più anche i compagni. In gioco, dopotutto, non c’è il cammino dell’eroe, ma una visione del nuovo mondo.