La luce del racconto: Yuku e il fiore dell’Himalaya di Arnaud Demuynck e Rémi Durin

Se è vero che crescere vuol dire fare i conti con la propria storia, raccogliere un’eredità e diventare testimoni di un sapere generato da un vedere e da un attraversare, allora Yuku e il fiore dell’Himalaya, grazioso film d’animazione della coppia Arnaud Demuynck e Rémi Durin, è una bella favola che rispetta i canoni del racconto di formazione, rielaborando la lezione impartita da Campbell sul mito. La topolina Yuku vive con la mamma, la nonna e tanti fratellini, ama le storie e la musica. Guidata da queste irrefrenabili passioni si dedicherà all’avventurosa ricerca del fiore dell’Himalaya, avventurandosi in un viaggio ricco di incontri speciali con animali mai visti: c’è il Ratto delle fogne (vero e proprio “guardiano della soglia”), il Corvo, il Coniglio, la Volpe, lo Scoiattolo e, inevitabilmente, il temibile Lupo. Risulta chiaro che il viaggio di Yuku alla scoperta dei fiori tanto desiderati sia tanto un viaggio interiore e verticale, di scoperta del sé, quanto un viaggio esteriore e orizzontale che la condurrà ad affrontare dubbi, paure, pericoli ma anche ambienti e paesaggi lontani, profumi e colori nuovi, distanti dal suo sguardo innocente. Così, i fiori che provengono dalla tradizione orale consegnata dalla nonna, non sono soltanto elementi naturali bensì luce che illumina il cammino della topolina verso la conquista della propria autonomia e identità, dando volume al passato e contorno al suo futuro. Come nelle mitologie popolari il film è popolato di presenze pericolose che si trasformeranno in sodali aiutanti per Yuku. Impegnata a guardare negli occhi limiti e barriere, tanto da considerare l’avventura come il passaggio verso l’ignoto, Yuku sperimenterà l’urgenza interiore di creare legami e credere nella fiducia verso il prossimo, comprenderà che la musica le offrirà il potere di fare amicizia, esprimere i propri sentimenti, esorcizzare la propria tristezza, gridare la propria ribellione e conquistare il suo posto nel mondo.

 

 
Yuku incanta con il suo ukulele, regalatole dalla nonna, e variando ritmi e stili canta e comunica l’irresistibile voglia di ballare insieme agli altri, lasciare un segno nel cuore di chi incontra, sollevandogli l’animo. Con grande scioltezza narrativa, forte di un ritmo incalzante non appesantito dai brillanti siparietti musicali, il film di Demuynck e Durinin è un musical atipico che mescola diversi registri, generi e toni: c’è lo ska, il blues (cantato in originale dal rocker Arno), c’è il rap pazzesco, lo swing degno di Re Louis – il riferimento dell’autore a Il libro della giungla, da una ballata filosofica (cantata in originale con Agnès Jaoui) a un boogie-woogie accompagnato dalla voce profonda di Tom Novembre, e risulta difficile non cantare e non ballare sulla poltrona. Da una parte ogni canzone rafforza i personaggi nella loro identità, dall’altra i colori tenui e pastello insieme alle forme stilizzate e filiformi giocano con rispetto con le emozioni dello spettatore. E tra un’impresa e l’altra, il film è anche un divertente viaggio nei grovigli di indovinelli e rompicapi, fattore che impreziosisce ulteriormente il consapevole lavoro di scrittura e di scelta di un vocabolario ricco, come avevano già fatto per Le Parfum de la Carotte, per solleticare le conoscenze linguistiche degli spettatori più giovani e per appagare anche la fantasia degli adulti.

 

 

Yuku viaggia fino alla vetta dell’Himalaya per capire che la felicità si trova davanti ai suoi occhi, come le ricordano le quattro identiche risposte agli enigmi. Le formulazioni giocano con le parole, con i sensi, con lo spirito, per intraprendere la strada e il percorso, ogni volta, conduce alla verità su di sé. Yuku e il fiore dell’Himalaya è un film sull’importanza del racconto, su ciò che illumina la vita di ciascuno, come ricorda l’incipit: una mise en abyme del cinema attraverso l’abbassamento delle luci e la ricezione collettiva del racconto, ma anche una mise en abyme del soggetto del film, poiché il racconto richiesto dai topolini alla nonna è proprio quello della storia del fiore dell’Himalaya. Quando la nonna inizia il racconto illustrato nelle vetrate della biblioteca, i raggi colorati che li attraversano illuminano e scaldano i volti stupiti del pubblico. È sempre una questione di luce e di occhi che guardano.