Un polar anodino, raggelante, quello del regista belga Thomas Kruithof, in concorso alla 34 edizione del Torino Film Festival, che racconta il precipitare involontario negli ingranaggi della Storia di un everyman di mezza età deprivato suo malgrado di tutto: della moglie (è separato), del lavoro (è stato licenziato), persino del vizio (è un ex alcolista). Gli resta appena un nome, Duval, stereotipo, banale, un segno frusto, come il personaggio omonimo del padre nel romanzo La signora delle camelie di Alexandre Dumas figlio. Ma è proprio il vuoto di senso della vita di Duval, la sua assoluta invisibilità sociale, che induce un uomo potente (ironico il nome o cognome: Clément) a contattarlo per farne uno scriba, un trascrittore di intercettazioni telefoniche. Così da un giorno all’altro, lui che ha sempre subìto le decisioni degli altri, potendo essere nulla più che un ingranaggio muto, un testimone passivo, si trova proiettato, sulle prime senza esserne cosciente, là dove si prendono segretamente le decisioni, nella meccanica oscura degli eventi, ovvero nell’ombra dove essi vengono prodotti, condotti, indotti, ridotti, tradotti. Scoprirà torbide manipolazioni, notizie false, vite spezzate, ma soprattutto dovrà accettare di uscire dal suo ruolo di traduttore automatico, mettere insieme le informazioni e agire per sopravvivere.
Insomma un romanzo di (in)formazione in cui un vecchio scialbo torna (o diviene per la prima volta) uomo, senza psicologismi, senza romanticismi, senza mitologie: una scrittura impeccabile che costruisce una suspense astratta, teorica (nel senso etimologico: affidata solo allo sguardo), asciutta come in un noir di Raymond Chandler raffreddato al calore bianco di un poliziesco di Jean-Pierre Melville. François Cluzet è straordinario nel tratteggiare questo everyman stralunato e rassegnato costretto a trasformarsi (forse solo per un istante) in superman.