Il pragmatismo del presente e la funzionalità del futuro, in un gioco logico e istintivo tra ciò che accade e ciò che verrà, disciplinato nella sensibilità solida e introflessa della macchina da presa di Mia Hansen-Løve. Le cose che verranno (L’avenir) è un film che ragiona in termini pragmatici sul rapporto tra la passione e il tempo, sullo slittamento tra l’idealità e la sua durata. Fatti i conti con lo spostamento di senso cercato dal titolo, il film è rigorosamente piantato sul tempo presente, incarnato nella gestazione della prassi quotidiana da parte di Nathalie, una donna che insegna filosofia guardando all’Uomo tra Pascal e Rousseau, e d’improvviso deve fare i conti con l’azzeramento delle proprie coordinate di riferimento: il matrimonio interrotto con un uomo che scopre avere un’altra donna; i figli che escono di casa per farsi la loro vita; l’anziana madre che deve essere portata in una casa di riposo; Fabien, lo studente in cui ha riposto le sue speranze, che si ritira in campagna e prende derive anarcoidi e antisociali… Ciò che (le) accade è la riscrittura di quel presente che Nathalie, come tutti, ipotizzava cristallizzato in uno scenario comodo, drammaturgia del divenire ridotta ai termini di un sistema rappresentativo fluido nella sua staticità. La centralità della parola resa testo nella miriade di libri che il film mostra e cita non è che l’identificazione di un tempo del pensiero fissato nello spazio bianco della pagina: come fosse la versione inversa di Fahrenheit 451 di Truffaut, Le cose che verranno è un film che colloca al centro del mondo i libri come funzione di un universo che cerca nella fissità del testo, nella sua permanenza, la ragione da confidare al futuro, alla sua mutevolezza, al divenire.
Il film è tutto un transito di libri, una esposizione di questi oggetti solidi di un pensiero che in realtà sembra sfuggire al presente, proiettato com’è verso una corsa in avanti che disegna inutili scenari futuri (lo sciopero degli studenti contro la riforma del sistema pensionistico, le disquisizioni nella comune letteraria di Fabien). La ragione del film sta tutta nella transizione della sua protagonista da una falsa condizione ideale (idealistica) a una ben più concreta situazione reale, in cui finirà con l’appartenere a se stessa. Contenuto tra il silenzio dell’incipit sulla tomba di Chateaubriand e quello che nel finale segue la nenia cantata al nipotino, Le cose che verranno è un film in cui il tempo biografico di Nathalie si riscrive proprio nell’azzeramento di quel suo inesausto correre, incedere, procedere che la segna per tutto il film: la macchina da presa di Mia Hansen-Løve finirà per indietreggiare, retrocedere discretamente nella geometria finalmente liberata della sua casa. L’avvenire, il presente, l’essere.