Su Chili Lettere di uno sconosciuto di Zhang Yimou, la malinconia della separazione

coming-home-2014-zhang-yimou-005Torna a casa molte volte Lu Yanshi, professore e intellettuale evidentemente scomodo al potere, la cui vita felice è stata completamente travolta dall’avvento della rivoluzione culturale. Torna a casa dopo essere evaso. O almeno ci prova, ma la figlia Dandan, che aspira a diventare prima ballerina non può permettersi scandali e denuncia il padre e ostacola l’accoglienza della madre (e la scena dei due che si dicono pochissime parole, separati da una porta, resta impressa nella memoria come un segno forte di separazione). Ritorna dieci anni dopo, quando, finalmente liberato, cerca il volto della moglie alla stazione. Non ci sarà, perché Feng Wanyu si è da tempo rifugiata in un mondo tutto suo e aspetta un uomo che non sa più riconoscere. È tutto qui Lettere da uno sconosciuto, il film con cui Zhang Yimou si allontana dallo splendore formale di certi suoi film e ritrova la fragranza di un cinema semplice e sincero. Sorta di controcampo di La strada verso casa, con una vena di sentimentalismo in più e una ripetizione che, però, è il centro di questo racconto. Come fare a far tornare la memoria ad una donna ferita? Si cercano soluzioni immediate. Déjà vu, micro traumi, sollecitazioni sul piano delle emozioni. Non funziona nulla perché l’unica soluzione sarà quella di assecondare il presente, lo stato delle cose, e adattarle come in un film imprevedibile, in cui si impone la necessità dell’improvvisazione continua,appunto. Il melodramma nasce dai piccoli gesti di ogni giorno. Padre e figlia si riuniscono per mettere in scena ogni volta uno stratagemma diverso. Le lettere dal carcere, scritte e mai spedite, lette alla moglie, fingendo, però, di essere il vicino di casa, il pianoforte finalmente accordato che risuona la melodia degli anni felici, una foto di gioventù andata a cercare chissà dove. Ma il tempo è nemico in questo film, perché allontana le persone e ricuce male le ferite. Come e più della Rivoluzione, che ha lasciato dietro di sé soltanto le foglie morte della malinconia.

 

 

 

Non il più bel film del regista cinese, che ci ha incantato con l’intensa freddezza di Lanterne rosse o Ju Dou, ma colpisce la morbidezza dello sguardo, una sorta di docile osservazione delle piccole cose. Gesti, parole, fotografie. Il fatto è che manca sempre qualcosa alla completezza, immensamente piccolo e immensamente grande. Un gradino alla felicità che non arriva, come le foto da cui la figlia aveva tagliato il volto del padre. Niente immagine e niente memoria. Serve costruirsi una nuova identità, ma anche in questo caso, incompleta, perché Lu Yanshi non cerca un nuovo nome e una nuova vita. Semplicemente rincorre quella che non ha potuto vivere (come tagliata via dagli anni di prigionia) e si adatta, come un musicista che improvvisa la melodia e disegna tutt’intorno la sua personale interpretazione. O un ballerino che riempie gli spazi vuoti della scena. In questo senso Lettere da uno sconosciuto  ha i tratti del musical più tradizionale e più rassicurante, ma con la tristezza di luci spente e di una gamma di colori ridotta al minimo. Si adeguano tutti ad una diversa identità. Tutti fingono senza rimpianti. Commovente e nostalgico, Zhang Yimou rielabora in termini del tutto personali e parziali una pagina di Storia che non può trovare esaustività e per la quale sono stati necessari due anni spesi in ricerche e ricostruzioni.