L’abilità che maggiormente va riconosciuta a John Madden è quella di saper lavorare con gli attori, di saper stare loro addosso al punto da riversare sulla recitazione tutto il senso di un film. Succedeva in Shakespeare in Love, in Proof, ne Il debito, e succede anche in Miss Sloane – Giochi di potere. Quest’ultimo, in particolare, riesce a non farsi travolgere dai dialoghi torrenziali e svelti proprio in virtù di uno sguardo ipnotico e sapiente sui protagonisti, che non fanno nulla per essere simpatici o rendere più digeribile la materia, ma trasmettono la loro ossessione allo spettatore fino alla fine. Un modo tutto personale di gestire il genere, perché nonostante si parli di lobbisti e battaglie politiche (dove non si gioca mai all’opposizione tra bene e male), Miss Sloane è un efficace thriller cerebrale, e non un film di denuncia, con continui colpi di scena, gli stessi che la protagonista regala ai suoi collaboratori e per cui è temuta dai rivali di Washington. Una macchina instancabile di perfezione e caparbietà, “un fenomeno”, come si definisce lei stessa, dedicata interamente alla carriera e alla voglia di vincere ogni sfida. E la più ambiziosa le si presenta a proposito di armi. Legata da anni ad un’agenzia di area conservatrice, riceve l’incarico di aderire ad una campagna di supporto alle aziende produttrici di armi. Lo scopo è di contrastare la proposta di legge che ne avvia la regolamentazione, rivolgendosi all’elettorato femminile e sollecitando le donne ad armarsi per proteggere la propria famiglia. Non la causa ma la sfida impossibile la convince a passare dalla parte opposta e schierarsi a favore della legge. Nulla di nuovo al cinema, anzi, un meccanismo piuttosto consolidato che Madden sceglie di assecondare (non senza cliché abusati e pathos a profusione), ma che riesce anche a manipolare a suo favore (in una storia dove la manipolazione è regina).
Lo scopo è quello di non lasciare spazi o tempi alla riflessione o all’introspezione, perché il film deve il più possibile assomigliare alla sua protagonista, che non ha una vita privata ma solo una solida e infinita passione per il suo lavoro. Ecco spiegate le deviazioni mirate nei territori personali, troppo brevi per raccontarci qualcosa di Esme o della stessa Sloane, eppure necessarie a far procedere gli eventi alla velocità di un ragionamento e con la freddezza di una strategia. La scommessa vera, però, sta nel non farsi usare e, soprattutto, nel non confondere la buona causa con i mezzi per arrivarci. Che sono le solite strategie senza scrupoli di cui sono infestati i meccanismi della politica, più una dose massiccia di suspense, legata alle svolte imprendibili di una sceneggiatura di rara precisione e alle scelte stilistiche di una regia fatta di forti contrasti. Fisicità contro segretezza, colpi di scena contro silenzi inscalfibili e profondi non detti. Le parole sono descrittive della situazione, mentre i primi piani sugli sguardi vanno in profondità semplicemente perché sanno svelare l’esistenza di un enigma. Alla fine l’avvocato, gli stretti collaboratori e noi spettatori, avremo per un attimo l’illusione di aver conosciuto Miss Elizabeth Sloane e poi, la perfetta consapevolezza di non conoscerla affatto.