È un mondo diverso, quello che accoglie il nuovo film della saga di Karate Kid, rispetto a quel 1984 in cui era iniziata Oltre a un’industria più strutturata e attenta a valorizzare i cosiddetti “universi” (fatto che permette a questo Legends di riconsiderare il remake del 2010 come un sequel della trama principale), c’è una consapevolezza diversa sull’uso delle arti marziali nel cinema americano, che all’epoca era ancora una relativa novità. La scelta ancora oggi significativa e preziosa del team capeggiato dal regista John G. Avildsen era quella di non innestare il tema, come legittimamente si sarebbe dovuto supporre, nel campo del cinema d’azione, ma piuttosto in quello del film adolescenziale, con il karate che diventava strumento del coming of age del giovane Daniel LaRusso. Viceversa, ora il sincretismo culturale (e marziale) svolge un ruolo molto più attivo a Hollywood e così il bilanciamento fra tradizione, innovazione, intreccio di influenze e capacità evocativa dei personaggi si fa più articolato. È il motivo per cui, già nel citato remake del 2010 il ruolo del maestro non era più affidato a un ex caratterista brillante come Pat Morita, ma a una leggenda del cinema d’azione asiatico quale Jackie Chan – che guarda caso proprio intorno al 1984 raggiungeva uno dei suoi picchi artistici e di successo con film come Project A e Il mistero del Conte Lobos.
Al contempo i film sono diventati più ricercati nelle coreografie e negli scontri, che assumono una caratura maggiormente acrobatica, oltre a contrappuntare il racconto con superiore frequenza, favorendo anche il ribaltamento dei ruoli. Perciò, da un lato il giovane Li è il perfetto protagonista della saga, che dalla Cina arriva a New York, fatica a integrarsi, si innamora della coetanea Mia e trova nel prepotente Conor di una scuola marziale aggressiva il rivale che lo bullizza. Ma, d’altro canto, stavolta oltre a essere il tipico allievo che deve partecipare al torneo per trovare la quadra rispetto a tutte queste criticità, Li in un’ampia porzione del racconto diventerà anche un improvvisato maestro per Victor, il padre di Mia e praticante di boxe. L’inattualità di dare un peso specifico alla disciplina di combattimento come pratica di vita, ispessita anche dai traumi sepolti nel passato dello stesso Li (e ovviamente riconducibili a legami affetti e familiari complessi) dona valore a quella che altrimenti può apparire come una furba operazione di marketing, dove i cromatismi visivi e le dinamiche adolescenziali mantengono un feeling molto anni Ottanta e il pubblico è chiamato a raccolta dalla promessa di vedere interagire insieme il “classico” Daniel La Russo di Ralph Macchio e il “nuovo” (pur nella consapevolezza della caratura mitica dell’attore) maestro Han di Jackie Chan. E c’è spazio anche per una piccola strizzata d’occhio finale alla serie tv Cobra Kai che aveva rilanciato la saga, mentre Joshua Jackson e Ming-na Wen lavorano di sponda richiamando sia l’adolescenza di Dawson’s Creek che l’azione di Mulan e Agents of S.H.I.E.L.D.
A cercare di tenere insieme i film di questo coacervo di influenze è l’esordiente Jonathan Entwistle che pure viene dalla serialità televisiva e che comunque ha il pregio di non rendere eccessivamente performativa la messinscena, lavorando al contrario su un ritmo sì parecchio spedito ma comunque abbastanza classico nella resa, che valorizza le gag e le scene d’azione, mentre permette a ogni attore di far emergere le proprie caratteristiche – l’aria sorniona di Victor/Jackson, l’inadeguatezza di Li/Ben Wang, l’intraprendenza di Mia/Sadie Stanley e ovviamente la buffa interazione fra il kung fu di Jackie Chan e il karate di Ralph Macchio, qui ritenuti in modo un po’ pasticciato ma funzionale come due rami dello stesso albero. Il risultato non avrà il successo del capostipite, ma è piacevole e lieve come un film adolescenziale del passato e se spesso questo è un limite per tanto cinema contemporaneo, affetto dall’eccessiva tendenza a guardarsi indietro sul filo della nostalgia, in questo caso riesce a trasmettere bene il divertimento che un po’ tutto il gruppo sembra aver provato nel girarlo.