Quanto sia ancora oggi, a quasi quarant’anni dalla sua scomparsa, radicata e amata la figura artistica di Eduardo De Filippo, è possibile verificarlo in questi giorni e soprattutto in queste ore successive alla messa in onda, su RAI1 del film di Edoardo De Angelis, Natale in casa Cupiello. I social, le chat sono piene di commenti dopo l’attesa di questo film che non solo rimette in circolazione la passione per il teatro e il profilo dell’attore-commediografo, ma soprattutto costituisce una specie di must insuperabile e ineludibile, in questo periodo di festività, unitamente all’immarcescibile Frank Capra di La vita è meravigliosa, che, manco a farlo apposta, in contemporanea al film andava in onda su La7. Nel bene e nel male, pandemia o meno, non ci si sottrae, forse anche per fortuna, ai riti televisivi che restituiscono, sebbene per poche ore, l’elettrodomestico ad una sua originaria funzione di focolare familiare, come ironicamente, ma centrando il tema, cantava alcuni anni fa Renzo Arbore. Ma è l’ora di tornare a Eduardo e alla sua arte, al suo teatro, che, benché forse non altrettanto letto sui testi, è ben conosciuto dal grande pubblico, anche più giovane, grazie alle infinite possibilità offerte dalla rete, proprio grazie alla diffusione delle sue principali tragedie in forma di commedia, trasmesse negli anni ’70 dalla tv con intenti divulgativi, che alla lunga ha dato i suoi effetti. Se, infatti, trasversalmente, rispetto ad una stratificazione non trascurabile della popolazione televisiva di quegli anni, non sempre in possesso di tutti gli strumenti utili per entrare a pieno nella poetica eduardiana, è anche vero che una diffusione capillare di quelle opere, o almeno delle sue principali, Natale in casa Cupiello, Filumena Marturano, Questi fantasmi, tanto per citare le più famose, hanno consentito una sufficiente conoscenza tale da riconoscere in Eduardo, il cantore di una tradizione popolare, soprattutto partenopea, ovviamente insostituibile e costante punto di riferimento in qualsiasi occasione in cui sia necessario restituire un profilo generale ad una saggezza insita nel buon senso e nella disponibilità dialogante propria del popolo napoletano.
È per questa ragione che i commenti successivi alla visione del film che è, con qualche licenza poetica, la messa in scena per il cinema della pièce di De Filippo, non possono fare a meno, quasi istintivamente, laddove la ragione lascia il posto all’impulso naturale, di fare un continuo (e inutile, diremo perché) raffronto tra il film di De Angelis e l’impronta indelebile lasciata nella mente di chi l’ha vista in tv, o meglio avrà avuto la fortuna di vederla a teatro, della stessa commedia recitata da Eduardo nella parte del protagonista Luca, detto Lucariello, Cupiello, accompagnato dalla sua compagnia, tra le cui fila si annoverano nomi di tutto rispetto del teatro italiano. Pertanto, non è una questione di conoscenza particolare del teatro, prescinde perfino dalla critica e dalla eventuale qualità, è, invece, una questione di affezione, di pieno riconoscimento identitario per chi vive Napoli e di pieno rispetto per quella cultura popolare, così dignitosa e perfettamente trasposta per il palcoscenico, per chi ama quella città pur non vivendola, o la guarda da lontano incuriosito da quell’universo così autosufficiente e sapientemente popolare.
Edoardo De Angelis è un ormai affermato regista partenopeo, che finora ha saputo raccontare una Napoli quasi invisibile sia con Indivisibili, sia con Il vizio della speranza, ma anche con Perez, originale incursione in un mondo vicino e sconosciuto. Con la regia di Natale in casa Cupiello, la cui sceneggiatura è stata scritta insieme a Massimo Gaudioso e le cui musiche sempre drammatiche sono di Enzo Avitabile, De Angelis abbandona le atmosfere cupe e infernali dei suoi precedenti film, per tuffarsi in una produzione con maggiori disponibilità e con alle spalle la solida copertura della RAI, che resta uno dei primi produttori di cinema anche di buona qualità, rendendo un buon servizio al settore oggi più che mai in seria difficoltà. Il primo tema da affrontare, è uno di quegli argomenti che frequentemente diventano lo scenario dentro il quale si articolano le critiche al film. Ci pare inutile, per potere parlare con consapevolezza del film, farlo diventare una continua pietra di paragone con la commedia televisiva interpretata dal suo stesso autore alla quale si è fatto riferimento in precedenza. Si scrive spesso, si certo…il film di De Angelis, …ma quella di Eduardo era un’altra cosa, o ancora peggio si presume di trasformare il film in un remake della trasmissione televisiva. Il tema di fondo è che in queste occasioni si assume come originale qualcosa che originale non è e non può essere, ma che sembra diventarlo solo perché unanimemente riconosciuto come l’unico pezzo realizzato dal suo stesso creatore. Il teatro, per sua stessa natura, come è ovvio, esclude che si possa parlare di originalità di una rappresentazione rispetto alla replica poiché le variabili, impercettibili o meno di ogni serata, diventano la causa affinché si possano contare per ogni pièce teatrale tanti originali per quante volte, secondo quella modalità, viene rappresentata. L’unica originalità vera, risiede pertanto, solo nel testo letterario scritto dall’autore. Ma il testo resta muto senza la voce e il corpo degli attori. Sgomberato il campo pertanto da questa specie di tara, benevola e amabile quanto si vuole, però fuorviante, si potrà, finalmente parlare del film di De Angelis interpretato da Sergio Castellitto nella parte di Luca Cupiello, Marina Confalone nella parte di Concetta, la moglie. Rispetto alla commedia originale scritta nel 1931 e con vari rimaneggiamenti conclusa nel 1934, De Angelis sposta l’azione negli anni ’50, nell’immediato dopoguerra in un clima di ritrovata pace sociale che sembra respirarsi nell’atmosfera, tipicamente natalizia delle poche scene in esterno sotto una nevicata perenne, insolita, in verità per i vicoli napoletani, ma efficace a condizionare il contrasto tra un mondo che cerca una pace duratura e un privato dentro il quale si consumano le tragedie. La regia di De Angelis è come sempre attenta e si muove bene dentro gli angusti spazi casalinghi dell’abitazione dei Cupiello, ricreando una atmosfera prenatalizia credibile con una composta posizione dei singoli personaggi. Il film non è teatro filmato, ma sa utilizzare la cinesi dell’immagine e quindi la sua frammentazione nel particolare, lontano da ogni forma di statica ripresa di un palcoscenico abitato dai personaggi. De Angelis vuole fare un film e non la ripresa di una ennesima replica. Sergio Castellitto sa entrare nel personaggio di Luca, aggiornando quella bonarietà napoletana, pronta ad autoassolvere ogni peccato o mancanza, con il disponibile e accomodante buon senso popolare. Luca Cupiello nel corpo dell’attore romano è un Luca cattivo, meno “napoletano”, cinico nella volontà di ignorare la bravura del suo vicino nel realizzare il presepio. Luca Cupiello è qui arrabbiato, esigente. L’innesto tra una romanità conosciuta di Castellitto con la parlata napoletana è risolta in modo adeguato, con l’ausilio di una gergalità ridotta al minimo indispensabile.
Marina Confalone sappiamo di che stoffa sia fatta. Lo abbiamo visto nella superba interpretazione di personaggio oscuro, perfido e malefico di Zi Marì in Il vizio della speranza (tanto per citare un lavoro dello stesso De Angelis). Se quello stesso vigore fosse stato riversato nel personaggio di Concetta sarebbe stata un’altra interpretazione memorabile. È rimasta, invece un po’ in ombra, in un insistito sottotono ed è un peccato per un’attrice delle sue qualità e per la solida sua preparazione proveniente proprio dalla scuola eduardiana. Non si può prescindere, in un film che si fonda soprattutto sulle prove attoriali trascurare questo aspetto, dovendo insistere sul contenuto che è soprattutto parola, corpo, mimica, presenza e movimento, cioè il lavoro dell’attore sul palcoscenico e sul set. Quindi tutto funziona in questo film così atteso, tutto fila liscio e De Angelis ha superato questa prova così difficile, dovendosi comunque confrontare con un gigantesco personaggio che al solo nominarlo fa venire in mente un mondo intero? La trasposizione di opere scritte per il teatro, soprattutto nella concentrazione dell’azione, come spesso accade e come anche in questo caso, in interni che suggeriscono una staticità, geneticamente opposta al cinema, pone sempre dei problemi di messa in scena, di fluidità narrativa e quindi di interpretazione dell’opera scritta, che va necessariamente piegata alle esigenze volute dall’autore. Ovviamente serve una dose di coraggio e una propensione al rischio che possa diventare criterio autoriale pervasivo per l’opera che si distingua da ogni altra trasposizione sul proscenio, proprio perché qui è con il cinema che si è deciso di relazionare il testo. Forse questo coraggio, questa propensione al rischio che De Angelis ha dimostrato in quella produzione, così originale e per l’appunto, rischiosa, poiché dentro, ma anche fuori dai generi, dentro, ma anche fuori da una consueta lettura del tessuto sociale napoletano, in Natale in casa Cupiello è mancata. Ne deriva una rappresentazione un po’ anodina, non diremmo totalmente insapore, ma senza un sapore deciso, tiepida, dentro una grande tradizione, ma senza diventare mai capitolo a sé.
D’altra parte nella tragicomica opera teatrale convivevano pienamente gli estremi della commedia e della tragedia, diventando pilastri insostituibili della struttura in un equilibrio irripetibile. Questa caratteristica permea tutta l’opera del commediografo napoletano. La tragedia era vera tragedia e la commedia era vera commedia e questi due registri restituivano ritmo al testo. De Angelis, nella sua trasposizione, annulla questa opposizione strutturale e come si dice, “abbassa i toni” sia della tragedia che mai diventa vera tragedia, sia della commedia e non si ride mai di gusto, ma piuttosto perché in qualche modo, si conoscono le battute. In questo annullamento si smorza il carattere dell’opera diventando forse il difetto maggiore del film. Tutto risiede forse in un rispetto eccessivo del testo, mettendo, invece, in secondo piano i registri fondanti di questa esperienza scenica, così bella, proprio perché così crudamente vera. Non ci piace fare paragoni, ma qui uno è d’obbligo. Anche Mario Martone si è cimentato con Eduardo De Filippo e il suo Sindaco del rione Sanità lo ha saputo reinterpretare, stravolgendolo, nel rispetto assoluto del testo, diventando un film assolutamente originale, così vicino all’opera teatrale, ma al tempo stesso così lontana da quella. Forse De Angelis, nonostante la prima serata di RAI1, avrebbe dovuto appropriarsi del testo, farlo proprio, lavorare per un suo stravolgimento, per farlo tornare a brillare di altra luce rispetto a quella che già naturalmente possiede.
Le fotografie sono di Gianni Fiorito.