La memorialistica è fallace, disperde i segni che la compongono in un tessuto dalla trama sfilacciata, soprattutto quando a tesserla sono le storie d’amore. L’ipotesi che Valerio Mieli mette alla prova in Ricordi? sta tutta nel punto interrogativo che destabilizza la declinazione al plurale del ricordo su cui basa la sua struttura narrativa del suo film. Perché se a ricordare è uno solo, i vissuti restano ancorati alla soggettività, ma se a ricordare devono essere in due, allora non sono più i vissuti a dettare le regola, ma la vita in sé. L’incertezza sottintesa alla domanda corrisponde insomma all’insicurezza del dato di fatto cristallizzato nella percezione del tempo trascorso…È ardito il tentativo di Mieli, coraggioso e determinato: dopo la cronologia dei Dieci inverni di un amore che attraversa il tempo, ecco che in Ricordi? si spinge nella visione diacronica di un innamoramento attraversato dal tempo. Lui (Luca Marinelli) è una specie di natura morta, nutre in sé l’ombra di un’infelicità cosmica che vorrebbe stare immobile nella sua introflessione, ma incontra Lei (Linda Caridi), che invece è un dipinto impressionista en plein air, mossa nella luce della sua vitalità. E tra i due è amore, complemento oggetto che ha per predicato l’attesa della fine coniugata nella domanda del titolo, e per soggetto il mutevole gioco delle loro coscienze. Perché l’innamoramento è un fuoco fatuo, ipotizza un per sempre che non è, e inciampa nell’abitudine che scolora i chiaroscuri nella tristezza del grigio: fermo immagine sul disamoramento e replay a parti inverse, ma senza possibilità di replica.
Il romance, per dirla all’anglosassone, scolora del dramma e si tuffa nel melodramma, ma Valerio Mieli tutto questo mica lo mette sul piatto come una torta di San Valentino: Ricordi? è tutto fuorché cristallizzato nel sentimentalismo. È un oggetto filmico che scorre nel flusso di coscienza amorosa dispersa nel faccia a faccia tra i narcisismo a parti invertite di Lui e di Lei: ognuno cerca nell’altro l’immagine opposta di sé e finisce con l’annegare in quell’immagine. E Mieli racconta tutto come fosse una soggettiva del Narciso che annaspa nell’acqua, immagini smosse, refrain della vita in comune ripensati nell’ottica di lui, in quella di lei e anche nell’ipotesi di una realtà oggettiva, che resta lì come il classico tertium non datur. Ci vuole coraggio a fare un film così, soprattutto se è un’opera seconda che viene dopo un esordio che era stato amato per la sua “semplicità”: qui Valerio Mieli scrive sull’acqua che scorre, cerca la fuggevolezza della struttura per catturarne l’essenza, moltiplica i piani narrativi per trovare una via d’uscita alla mera introflessione del dramma sentimentale. Come raccontare una storia d’amore senza basarsi solo sui sentimenti, ma aggrappandosi ai vissuti? La domanda che Mieli si pone trova una risposta nella tensione tutta mentale che il suo film propone. Ricordi? non è una storia d’amore e non è nemmeno la storia di un amore, è piuttosto l’amore per una storia che appartiene alle vite di due persone e scorre assieme a loro, ai loro sbagli, alle finte certezze e alle false insicurezze. È la vita a fare il melodramma, non l’amore…E se qualcosa si può rimproverare a un film così intenso e coraggioso e bello (sì, bello: per pensiero, fotografia, scrittura, interpreti…) è una certa mancanza di trasparenza, soprattutto nella seconda parte, il bisogno di Mieli di aggrapparsi a una dinamica strutturale nella scansione dei vari livelli narrativi. Ma per un regista alla sua opera seconda trattasi di lieve colpa, e comprensibile.