Resistere al vuoto: To a Land Unknown di Mahdi Fleifel

Verso una terra sconosciuta. In cerca di una nuova storia da scrivere, una vita da raccontare, un luogo da abitare e in cui potersi ritrovare dopo essersi sentiti smarriti, dal Libano alla Grecia, desiderando la Germania e la libertà. Così si apre To a land unknown, il primo lungometraggio di finzione di Mahdi Fleifel, palestinese di origine, diplomato nel Regno Unito, ora vive in Danimarca. Un film che si apre con una chiara citazione presa da Edward Said: «Il destino dei palestinesi non è finire là da dove sono partiti, ma in qualche luogo inatteso e lontano». E sembra essere proprio questo il fulcro del racconto dove la vicenda di due cugini palestinesi, Chatila e Reda, bloccati in un’anonima Atene dopo essere fuggiti da un campo profughi in Libano, sognano di raggiungere la Germania consapevoli di dovere affrontare una strada piena di ostacoli. È la condizione dell’homo viator ad emergere e imporsi, da conservare, verso cui tendere per una sempre rinnovata speranza e nuove mete da raggiungere, ma anche quella dell’homo faber, artefice del proprio destino, bisognoso di non limitarsi a sopravvivere, tra lavori precari, piccoli furti e la costante ricerca di denaro per acquistare documenti falsi. Una quotidianità segnata dalla resistenza e dal desiderio di una vita migliore.

 

 
L’esperienza di documentarista che ha segnato la prima parte della sua carriera innerva anche questo progetto, di fatto realizzato da un esiliato e dedicato a degli esiliati, come dichiarato dallo stesso Fleifel: «Sono andato a girare un documentario sul campo profughi palestinese dei miei genitori, che poi è diventato A World Not Ours (2012): il mio personaggio in quel film, un amico d’infanzia, scappa dal campo, attraversa Siria e Turchia, e arriva in Grecia. Mentre lo filmavo in Grecia, si è aperto un nuovo mondo: quello dei giovani palestinesi che scappano dai campi in Siria e Libano e arrivano alla porta d’Europa, cioè la Grecia, solo per rimanere bloccati lì. Ho pensato: “Questa storia non ha fine”, perché lo scrittore palestinese Ghassan Kanafani aveva scritto lo stesso tipo di storia negli anni ’60 con Uomini sotto il sole. All’epoca i rifugiati cercavano di andare a lavorare in Kuwait attraversando il deserto. Per anni ho pensato che sarebbe stato bello fare un adattamento cinematografico di Uomini sotto il sole ambientato nell’Europa moderna, con Atene come culla della civiltà moderna». Un nuovo deserto, questa volta urbano, rappresentato da Atene che ospita e nasconde i rifugiati palestinesi intenti a liberarsi cercando nuove vie di salvezza. Ma la precarietà di questa condizione conduce Reda e Chatila, due volti della stessa medaglia, un’anima divisa in due, di fronte a sfide sempre più compromettenti.

 

 
E il film di Fleifel non concede tregua allo spettatore che nel frattempo empatizza con i due protagonisti: macchina da presa a mano, ritmo concitato, pedinamento, dialogo costante tra luoghi chiusi asfittici e non-luoghi disorientanti. Un impianto da buddy movie americano che lentamente svela le proprie carte senza mai bluffare, mutando in un romanzo di formazione per adulti, attento a fare emergere il lato più morbido e conciliante in uno dei due e quello più aspro e spigoloso nell’altro. E nel delineare questi due ritratti ispirati alla realtà, Fleifel consegna allo spettatore due volti segnati dal dolore, con lo sguardo ancora acceso e proiettato in avanti, nonostante tutto. E infatti, il regista precisa: «Ho incontrato molte persone come Chatila e Reda, quelli che ce l’hanno fatta e quelli che non ce l’hanno fatta. Reda si basa sulla persona reale che ho documentato in 3 Logical Exits e A Man Returned. Gli devo molto perché mi ha ispirato a riprendere in mano questo progetto dopo anni di dubbi. Ha lasciato moglie e tre figli nel campo in Libano mentre era bloccato in Grecia, desideroso di andare in Germania. Ho preso la videocamera, sono tornato a trovarlo e ho iniziato a filmarlo di nuovo, sperando di continuare la sua storia. Purtroppo, pochi mesi dopo, è morto di overdose ad Atene. In un certo senso, ho tratto Reda e Chatila dal vero Reda. Ho usato le sue storie per sviluppare le due facce dello stesso personaggio».

 

 
Il film di Fleifel fotografa un desiderio, immagina un avvenire, fissa il tempo e seguendo il solco di questa assenza drammatica, consegna allo spettatore la possibilità tragica che questo non basti perché il peso del vuoto è insostenibile come dichiara apertamente la citazione nel finale di Un uomo da marciapiede che era a suo tempo una netta dichiarazione di disillusione dal sogno americano. «Come figlio di profughi palestinesi cresciuto in Danimarca, questa è stata la mia storia. La Palestina è un mosaico di tante storie e situazioni, in sostanza siamo un popolo in esilio. La mia esperienza è stata quella di concentrarmi su ciò che mi è vicino, e ciò che mi è vicino è l’esilio. Sono grato di non aver vissuto sotto occupazione israeliana e di non essere mai stato umiliato ai checkpoint israeliani ogni giorno; non ho quell’esperienza. Ma so cosa significa vivere in esilio, essere apolide, non appartenere. To A Land Unknown non è solo un altro film sui rifugiati, né un altro film palestinese con tutti i cliché attesi… Volevo fare il mio cinema hollywoodiano anni Settanta».