Il cumulo di lettere di dissidenti da bruciare che sta ammassato nella cella della prigione all’inizio del film è un po’ il corpo vero, la carne e il sangue, di Two Prosecutors, il film di finzione di Sergei Loznitsa che Cannes78 propone in Concorso. Abituato a rimestare nell’archivio visivo della Storia, qui che lavora di messa in scena il regista ucraino sembra quasi voler prendere le distanze dalla verosimiglianza e realizza un film che sembra una pièce filmata. In realtà alla base c’è un romanzo di Georgy Demidov, scienziato ucraino arrestato come dissidente nel 1938 e rilasciato dopo quattordici anni di gulag: questo testo, scritto nel 1969, è stato sequestrato dal KGB negli anni ’80 insieme agli altri che aveva prodotto dopo la sua liberazione ed è stato restituito alla figlia nel 1988, dopo la sua morte. Loznitsa, che sui testi scritti negli anni oscuri dello stalinismo lavora dichiaratamente da tempo, lo ha scelto per raccontare una storia che ha ovviamente una valenza più generale, iscritta nella sfera del grottesco e del paranoico (“Gogol e Kafka volteggiano costantemente su me e sulla storia”, dice). Come fosse un eroe polanskiano, il giovane procuratore che indaga sulla lettera del dissidente giunta inopinatamente sulla scrivania pensa di operare in seno alla giustizia, ma ignora che il concetto stesso di ciò che è giusto o sbagliato non ha molto senso nel mondo in cui si muove.
Siamo nella Russia del 1938 e le sue indagini non sono solo vane ma persino pericolose, ma ovviamente nessuno glielo fa notare: l’opposizione di regime alla verità passa per un continuo gioco di finzioni, fatto di attese prolungate, di risposte formali, di ascolti neutrali, di gentilezza che prelude al colpo finale. La frontalità teatrale del film corrisponde evidentemente alla rappresentazione di un mondo formalmente corretto che ogni regime offre alla storia e richiede alla popolazione e Loznitsa questo lo sa bene, perché l’ha studiato e ristudiato nelle immagini di repertorio su cui lavora come documentarista con risultati francamente molto più interessanti di questo. Two Prosecutors è un film fortemente plastico, sorretto da dialoghi molto scritti e da una messa in scena che ordina ogni elemento teatralmente, senza richiedere nessuno sforzo di verosimiglianza. Probabilmente proprio perché la verosimiglianza non appartiene alla Storia e la verità che sta alla base della drammatica vicenda che racconta, non ha poi troppo valore nella Storia attuale russa. Il gioco che è richiesto allo spettatore è quello di assistere alla finzione del regime e al compiersi del prevedibile destino cui l’ingenuo procuratore va incontro senza rendersene conto. Manca la profondità di campo, la prospettiva, la vita: tutti elementi che il Loznitsa documentarista sa invece offrire con limpida intelligenza.