Santiago, Italia: Nanni Moretti nel recinto della libertà su RaiPlay

Ancora un perimetro da varcare, ancora mura di cinta da superare per trovare una qualche libertà, una liberazione dal grumo di paura o angoscia che assedia lo spirito. Sarà un caso, ma il gesto poetico dell’ultimo cinema morettiano resta evidente anche in Santiago, Italia, il film-documento di Nanni Moretti che si spinge quarantacinque anni indietro nella storia cilena per trovare ovviamente il presente del nostro paese. È come se il regista avesse visto cristallizzato nel salto disperato dei cileni al di là del muro di cinta dell’Ambasciata Italiana nella Santiago del ’73 il medesimo istinto di fuga verso la libertà che spingeva fuori dal Vaticano il reticente pontefice di Habemus Papam, la stessa spinta lontano dall’oblio della morte che portava fuori dall’ospedale la vecchia mamma di Mia madre… Certo, l’atto dei rifugiati cileni era inverso, si spingevano disperatamente in un recinto, ma l’esito è il medesimo, perché porta a una via d’uscita ideale, a una salvezza verso un altrove che è libertà dalla paura, dall’angoscia, dal dolore… Sì insomma fuori dalla Stanza del figlio se vogliamo…Moretti, insomma, sembra quasi collocare Santiago, Italia sul crinale di un confronto con la Storia che è dialogo tra idealità incarnata, schianto con la realtà, fuga verso una libertà che è altrove: esattamente i movimenti che nutrono tutti i suoi ultimi film. Ma adattati alla narrazione implicita del presente di un’Italia incattivita, che si riflette nella narrazione del popolo cileno stroncato da un golpe nel bel mezzo di un sogno a occhi aperti. La via cilena al Socialismo che finiva assediata, con Allende, nella Moneda bombardata dall’esercito e poi segregata nello Stadio Nazionale di Santiago o peggio torturata a Villa Grimaldi. Da un’altra parte, in via Clemente Fabres 1050, i funzionari italiani accoglievano nella casa a tre piani, che era ed è la sede della nostra Ambasciata in Cile, gli oppositori della giunta militare: si saltava con la forza della disperazione il muro di cinta e si trovava salvezza, accoglienza e la via per l’Italia (o la Romania, la Francia, la Svezia…). Ecco, la narrazione che emerge dalle parole ascoltate e raccolte da Nanni Moretti dice già tutto.

Pleonastico sarebbe insistere sulla contronarrazione in filigrana dell’inaridita Italia odierna, cui il regista ovviamente guarda. Piuttosto bisogna sottolineare, appunto, che Santiago, Italia è un film costruito sui perimetri che delimitano la paura e contengono la salvezza: palazzi sotto assedio, stadi nazionali che diventano campi di concentramento, ville che contengono mattatoi di tortura, infine mura di cinta da scavalcare in cerca di salvezza… Nel giardino al di là del recinto di via Clemente Fabres Moretti visualizza lo spazio di una libertà in cui i profughi potevano tuffarsi, trovando il varco verso un altrove che era la nostra Italia di allora: un paese disposto ad accogliere, l’Emilia rossa che dava casa e lavoro, la gente che mostrava interesse e solidarietà… L’immagine riflessa nello specchio dell’Italia di oggi purtroppo la conosciamo bene, Moretti non perde nemmeno tempo a rimarcarla. Resta piuttosto la contrapposizione muta, l’amarezza inespressa ma ben sensibile, che il regista pone sul tavolo solo una volta: nell’asserzione categorica di parzialità sbattuta in faccia al golpista che pretenderebbe dall’intervistatore l’imparzialità: “Io sono parziale” afferma categorico Moretti e lo dice come fosse un’ulteriore condanna comminata a un uomo che la Storia ha già collocato in un perimetro, quello di un carcere…Resta solo un dubbio, alla fine: perché Moretti si sia fermato alla narrazione di un’Italia accogliente nella sua dimensione sociale, umana, diffusa, senza voler raccontare anche quale Italia politica ci fosse alle spalle di quel paese. Il governo che, in barba agli alleati americani, permise all’ambasciata di Santiago di accogliere i figli in fuga del comunista Allende, era l’Italia di Aldo Moro, quella del compromesso storico, quella di convergenze parallele dall’esito evidentemente ben diverso da quelle che ci governano oggi. Perché non rimarcarlo?