Tolo tolo, Zalone diventa un apolide di necessità

Se sono dette tante, prima di vedere il film e altre nell’immediatezza della sua uscita. Ne hanno parlato i politici, ne hanno parlato le trasmissioni TV. Tolo tolo di Checco Zalone, che già nel nome d’arte cela, ma rende anche esplicito, il suo fare spettacolo attraverso una comicità rustica e popolare, ma efficace, diretta nella sua semplicità articolata, è diventato un fenomeno nazionale, un evento da prima pagina, preceduto da un’attesa spasmodica che si è fatta evidente con le proiezioni notturne nella mezzanotte tra il 31 dicembre e il 1° gennaio. Forse il compito è quindi quello di provare a capire cosa ci sia in tutto questo clamore che finisce, con l’essere, inevitabilmente sproporzionato, rispetto al fatto in sé: l’uscita di un altro film che possa permetterci di riflettere attraverso la comicità o comunque attraverso il divertimento (o anche evitare di farci riflettere), su un tema che tutti ci riguarda, sul quale si fa un gran parlare e dentro il quale si annidano spesso luoghi comuni, soluzioni improvvisate, visioni parziali e tutto il resto di un armamentario che conosciamo. Non pensiamo che Zalone, o meglio, Medici, ritenga di avere in mano le soluzioni per rimediare ai problemi dell’emigrazione, forse vuole solo dire la sua e lo fa come sa farlo meglio. Sicuramente l’autore – che scrive la sceneggiatura in collaborazione con Paolo Virzì – ha solo voluto, attraverso lo strumento della comicità, che per sua natura veicola i messaggi molto più rapidamente che altre forme di spettacolo a più lenta conduzione, innescare quel meccanismo che è proprio dell’umorismo e cioè quello del paradosso come passepartout per entrare in un mondo fatto di una inafferrabile complessità che per sua natura non è terreno di coltura della risata pena il politicamente scorretto.

 

Zalone prova a ridurre lo scenario ad una dimensione più accessibile per potere mettere in scena pregi e difetti, manie e peccati di un italiano che resta sempre medio e mediocre come già lo erano i personaggi interpretati da Alberto Sordi. Lo strumento della comicità, per quanto da lunghissimo tempo utilizzato, risulta sempre efficace poiché ribalta i termini della discussione, rovescia i criteri di giudizio e le leggi che regolano la convivenza. È lo stesso meccanismo che utilizza, in modo più estremistico e per questo quasi nonsense, Albanese con il suo Cetto Laqualunque campione di trasgressione e di aperta violazione della legge che nel suo mondo diventa la disciplina della convivenza. In altre parole il negativo di una immagine che fa risaltare, per ragionamento a contrario, il suo positivo. Zalone è della stessa scuola, ma con un pensiero diverso, un differente approccio. Il suo personaggio agisce sempre dentro le coordinate di una realtà assolutamente riconoscibile e contemporanea, diversamente da quella aumentata e iperbolica di Cetto, così era in Cado dalle nubi, così in Quo vado? e così continua ad essere in Tolo tolo. Zalone-Medici ha bisogno che la sua sia una realtà vera, nella quale lo spettatore si possa riconoscere poiché, altrimenti, le sue pasquinate non avrebbero lo stesso effetto. I personaggi da lui interpretati sono pienamente calati dentro la deformazione corrotta della realtà e ragionano e agiscono secondo differenti criteri, privi delle sovrastrutture del pensiero, istintivamente, poiché l’operazione di Zalone in questo film e, mutati mutandis, negli altri, è quella di denudare il suo protagonista, renderlo visibile così com’è, asservito alle leggi del potere, asservito anche alla elusione delle leggi, asservito alle mode e alla pubblicità.

 

 

Checco non fugge in Africa per protesta, ma per non pagare lo Stato e i suoi creditori. Se fossimo nella realtà sarebbe un’altra indagine delle Iene alla caccia di un altro evasore. Zalone ha bisogno di essere riconosciuto e riconoscibile dai suoi spettatori, ha bisogno che lo sentano uno di loro o quasi come uno di loro. Se le stesse storie fossero ambientate in quella realtà iperbolicamente diversa e contraria (come fa Albanese, per intendersi) il suo personaggio e la sua comicità perderebbe di mordente poiché la sua comicità nasce, come quella di Sordi, dal mettere in scena la mediocrità attraverso la codardia, la raccomandazione per il posto fisso. Il suo personaggio è, paradossalmente, dunque più vicino a Fantozzi che a Cetto Laqualunque. Vi è una dominante che avvicina i pensieri di questi due personaggi smarriti. Poi, sicuramente nei personaggi del regista pugliese non vi è quella dignità dell’umiliazione che ha fatto grande e tragico Fantozzi, non vi è l’imbarazzo fantozziano patetico e mortificato, succube di ogni dominio, non vi è la drammaticità della solitudine, ma vi è quel desiderio di manifestare le debolezze, alcune piccole virtù. Soprattutto non vi è la volontà di un dramma più universale, dove i personaggi di Zalone restano e funzionano perché italiani. Oggi come allora riconosciamo in queste maschere da commedia dell’arte, pezzi di questo nostro Paese, ne ridiamo, ma sappiamo anche che in quelli larga parte della nostra collettività ci si specchia. Il cinema di Zalone per tutte queste ragioni e per le altre che da sempre accompagnano la commedia natalizia, ha creato delle aspettative e fino ad oggi è stato un evento mediatico nel quale la gente, molti media, hanno cercato con affanno spasmodico un “talento” che fosse capace di prendere in mano la situazione sempre difficile del cinema italiano. Il regista e il suo personaggio, sovrapponibili nella loro dualità, diventano nell’immaginario una specie di uomo solo al comando, un po’ come succede in politica. Zalone, da parte sua, fa il suo onesto mestiere e non crediamo che egli pretenda di scrivere pagine memorabili o abbia il desiderio di diffondere opinioni inconfutabili. In Italia quest’anno sono usciti circa duecento film e Tolo tolo è solo uno di questi.

 

 

Ma poiché il cinema è anche spettacolo, non vi è dubbio che Zalone abbia in mano il talento giusto per diventare un intelligente uomo di spettacolo che intuisce i meccanismi e sa cogliere quell’angolo buio che invece va illuminato. Come sa cogliere i tempi e i modi per spettacolarizzare ancora di più l’evento. L’operazione mediatica, perfettamente riuscita, di lanciare il trailer del film con immagini e musiche che nel film non ci sono, è forse un effetto specchietto per le allodole o invece un interessante depistaggio per lo spettatore? Ci pare che l’operazione pubblicitaria, originale e inattesa, abbia sparigliato le carte, confuso i termini e scatenato commenti e avventati giudizi, un po’, ancora una volta, come accade con gli exit pool. Immaginiamo il divertimento di Zalone nell’avere innescato un putiferio e una classica tempesta in un bicchiere d’acqua. È in questa ulteriore dualità che sta il bello dell’operazione Tolo tolo, in una serie di intuizioni che si fanno spettacolo. Di sicuro questo film deluderà molti, come effetto di rimbalzo di un’attesa che resta, in fondo, ingiustificata. Luca Medici, complice Paolo Virzì, compie un’operazione attenta e mica male congegnata, sembra annunciare uno sviluppo e invece la sua verità risiede da un’altra parte e la sua Africa diventa il luogo delle contraddizioni, il suo amico coltissimo e lui ignorante, il luogo della solidarietà e della bellezza, ma anche di una violenza ingiustificata e feroce. Zalone prova a scardinare alcuni luoghi comuni sull’immigrazione, mettendo in ridicolo i comportamenti del suo protagonista quegli atteggiamenti che lo riportano di continuo ad una sorta di crisi d’astinenza da consumismo abbagliante e inservibile. Film largamente controcorrente, proprio perché destinato ad una popolarità sconosciuta agli altri titoli, e in questa immensa platea di sicuro molti storceranno il naso se sono vere alcune sensazioni che si raccolgono e si ascoltano sulla scarsa e generalizzata benevolenza degli italiani verso l’immigrazione. Zalone, più che in ogni altra occasione ci porta dentro una realtà contingente, sembra avere voluto mettersi in gioco definitivamente, firmando la regia quasi come manifestazione di intenti. Di sicuro, in fondo, c’è una grande voglia di ridere, ma Zalone ci prende in contropiede e sa dosare la sua comicità che si fa rarefatta e a volte velata, quasi invisibile. Anche per questo il suo film, nonostante gli incassi, non troverà un consenso generale, ma per l’artista pugliese Tolo tolo, potrebbe costituire una cesura tra un prima e un dopo, tra un personaggio più giovanile ed uno più maturo, più consapevole, perfettamente inserito in una realtà che si percepisce, come complicata e per questo incomprensibile. È in questa incomprensibilità costante che Checco vaga in Africa, senza capire tradizioni e costumi, lingua e abitudini, sradicato dal suo Paese del quale non si sente più cittadino, un uomo senza patria e senza una bandiera. Zalone è diventato un apolide di necessità.