Ci sono potenzialità sopite nel film di Gabriel Mascaro che con l’inusuale ed esteticamente ricercato Boi neon ci ha già abituati ad un cinema in cui la componente visionaria si adatta ad un realismo i cui confini con il fantastico diventano mobili, labili e variabili. Il cinema di Mascaro ricerca nelle radici della tradizione brasiliana un equilibrio tra fantasia e critica sociale, tra una inespressa voglia di autentica libertà e imposizione politica. Sentiero azzurro, già vincitore dell’Orso d’Argento nell’ultima edizione del Festival di Berlino, soffre e si avvale di questi elementi, sempre però in una connotazione fortemente libertaria dei sentimenti, ironica per certi versi, apparentemente votata ad un racconto fatto di metafore, ma in realtà ancorate ad una visione complessiva di una realtà sfuggente nei suoi tratti complessivi. Tereza (Denise Weinberg) è una anziana signora che lavorava in una specie di macello dove si scuoiano giovani alligatori. Ma la sua età impedisce al governo di avvalersi della sua forza lavoro.

Il suo destino è la Colonia dove sono destinati gli anziani da questo regime, onnipresente e oppressivo, soprattutto nei loro confronti con l’ipocrita giustificazione di un riposo dopo anni di lavoro e di un superficiale provvedere ai loro bisogni. Ma Tereza, nonostante l’amore per la figlia, che quest’ultima non ricambia, ha altre aspirazioni e il suo viaggio diventa occasione per una differente dimensione della propria vita. Il sentiero azzurro di Tereza è il fiume che attraversa l’impenetrabile Amazzonia. Cadu (Rodrigo Santoro) un losco capitano di una barca non sua, conduce l’anziana donna verso il desiderato in aereo. Cadu però conosce la magia dei luoghi e le proprietà visionarie della bava della lumaca azzurra, che sfrutterà ancora per liberarsi da ogni catena, insieme a Roberta (Miriam Socarras) sua nuova amica e compagna, veditrice di improbabili Bibbie elettroniche. Il film di Mascaro è un celato inno ad una pretesa e legittima libertà, è la storia di una rivolta caparbia e silenziosa di Tereza, che si barcamena tra divieti e impedimenti, eludendo i primi e superando i secondi contro ogni previsione. Il fascino del film risiede in questa tensione verso la libertà dai vincoli, dalle regole della vita, nel desiderio che matura e si fa più solido in quella terza età che sembra rinvigorire la protagonista, nell’immagine di un Brasile che diventa sempre più pericoloso, ma anche più magico e sconosciuto. Un fascino discreto, non troppo evidente in quella ricerca di una stabilità perduta per l’anziana Tereza: quel traguardo che costituisca la chiusura di una ferita apertasi con la fine del lavoro, in quella prospettiva di libertà limitata da questo futuribile governo-controllore con un occhio da grande fratello, che Mascaro abilmente e sottilmente mette in scena con le sue gabbie per anziani e la tutela cui devono sottostare superata l’età produttiva.

Il sentiero azzurro diventa anche forma dell’attraversamento dell’utopia, rappresentata nel viaggio senza fine e in fondo anche senza meta che Tereza e la sua nuova amica e compagna compiono. La loro è una clandestinità annunciata, che è già in fondo forma silenziosa e invisibile di ribellione. Sono queste le ragioni di quelle potenzialità celate di cui si diceva: forse Mascaro lasciando quasi sottotono la sua storia, in una sorta di ovattata distanza da una cattiveria più manifesta, ha compresso quelle potenzialità che a volte sembra facciano fatica ad uscire. L’equilibrio tra critica sociale e politica e romanzo di formazione, ma ancora tra viaggio allucinante dentro una Terra di una bellezza non immaginabile e simbologia della ribellione, avrebbe potuto forse essere anche spezzato, rischiando lo squilibrio, sospendendo un lirismo al quale il film, a volte, cede con una certa indulgenza. È comunque la sua originale anomalia a farlo diventare un racconto che nella sua metafora che si confonde con il reale sa mostrare il volto nascosto di un’età ancora vitale e la rivolta senza urla della sua protagonista, che come tutti, dopo l’età della gioventù, cerca un Eden quotidiano da abitare, quella terra oltre la linea d’ombra dove l’eterna utopia renda migliore il mondo.


