Negli ultimi anni Frederick Wiseman ha concentrato il suo sguardo sul funzionamento di istituzioni pubbliche o sulla vita comunitaria di realtà profondamente metropolitane. At Berkeley, National Gallery ed Ex Libris – The New York Public Library scandagliavano le meccaniche interne di una grande università, di un colossale museo e di una delle principali biblioteche del mondo; In Jackson Heights radiografava la vita di un quartiere (e di una comunità) del Queens: San Francisco, Londra, New York. La cultura – didattica, formativa, sociale – diventava il punto di partenza (e di arrivo) per tastare lo stato di salute di una nazione, le possibilità di un futuro migliore. Monrovia, Indiana affronta le trasformazioni politiche avvenute negli ultimi anni negli Stati Uniti scegliendo un punto di vista forse più marginale e meno apertamente simbolico, ma di certo più utile per gettare lo sguardo negli Stati Uniti di Trump, quell’America che voleva essere “Great Again”, abbandonata a se stessa e diffidente delle élite formatesi magari proprio in istituzioni simili a quelle raccontate nei film precedenti. Wiseman opera secondo il suo metodo ormai codificato: osserva, riprende, analizza, mette in fila, monta, costruisce, mostra. Anche qui lo spazio sociale è preponderante. Si descrivono, dando loro tempo e spazio, questioni apparentemente futili: le riunioni municipali, le piccole decisioni quotidiane da prendere (panchine da installare, rampe da costruire, visioni in contrasto sull’espansione della suburbia). I luoghi prediletti sono quelli di aggregazione: i meeting sempre uguali delle autorità comunali, la chiesa, i luoghi di svago, la scuola, lo sport.
Wiseman mette in scena con uno sguardo neutro e appassionato, non guarda con superiorità intellettuale questa fetta rurale di America, questi midwestern fedeli a riti – sociali, politici, educativi, religiosi – da compiere con naturalezza, questi difensori della tradizione e delle abitudini, refrattari ai cambiamenti, inadatti alla mescolanza, probabili elettori del più improbabile presidente che gli Stati Uniti abbiano mai avuto. Monrovia ha – secondo il censimento del 2010 – 288 famiglie, 365 case, 1.063 abitanti: un pezzo di nazione lontana dal potere e preoccupata solo dei propri bisogni. Individualismo, proprietà, comunità. Durante le innumerevoli discussioni si nota orgoglio e reticenza al cambiamento, diffidenza per chi viene da fuori, devozione liturgica a Dio e alle glorie sportive della scuola locale. In Monrovia, Indiana facciamo più fatica a specchiarci rispetto a quanto capitava con le iniziative di supporto sociale di Jackson Heights, con le riunioni degli studenti di Berkeley, con i programmi di cultura inclusiva della Biblioteca di New York, con il lavoro certosino dei restauratori della Gallery londinese. Wiseman fa i conti con un’America rurale, in cui le aste di trattori sono tra le occasioni di incontro e di scambio più frequenti, in cui lo svago è rappresentato dalla visita al bar all’angolo o dalla partecipazione alle attività di ballo della scuola. Un’America che è lontana dall’immagine che vorremmo dargli e che spesso gli diamo ma che merita di essere guardata in faccia. Monrovia, Indiana è la liturgica messa in scena del ventre molle di un paese che non conosciamo, che pensa ai propri interessi chiedendo spazio e rispetto, che non ha interesse ad aprirsi all’altro per paura di cambiare. La capacità di penetrazione dell’occhio di Wiseman ci regala un’occasione intima per gettare uno sguardo, per indagare e magari capire meglio quell’onda di realtà americana, inaspettata e aliena, che travolse tutti, vittime di una colpevole inconsapevolezza, al momento dell’elezione di The Donald.