Viaggio in Palestina: Tutto quello che resta di te di Cherien Dabis

Per raccontarti chi è mio figlio, devo prima raccontare cos’è successo a suo nonno” dice Hanan (interpretata dalla stessa regista), in primo piano mentre sembra parlare direttamente alla macchina da presa. È l’inizio di Tutto quello che resta di te opera terza per Cherien Dabis (dopo Amreeka e May in the Summer) che cerca nella Storia della Palestina degli ultimi 77 anni il senso di un presente che non è più possibile razionalizzare. Perché il passato in questo caso pesa ancora sotto i più svariati punti di vista, a partire dai sentimenti di umiliazione, violenza, ribellione e impotenza che rappresentano il nucleo profondo di questo film. E così si percorrono quasi ottant’anni di una storia ripetitiva attraverso tre generazioni, ma con l’idea di cercare le ragioni di certe azioni o avvenimenti nelle azioni e negli avvenimenti di chi lo ha preceduto. Per questo la storia dell’adolescente Noor può essere spiegata solo ricordando la vita del nonno Sharif, uomo benestante, colto e felice nella sua casa di Jaffa, fino a quando accade quello che nessuno aveva davvero pensato possibile: l’instaurazione armata da parte del nascente stato di Israele, la Nakba, la colonizzazione violenta, i campi profughi. È qui che Sharif vivrà fino alla fine, immobile nel fisico e nella mente, intrappolato due volte nel ricordo di quel giorno in cui tutto cambiò per sempre.

 

 

La regista Dabis ricostruisce la storia attraverso tre generazioni (non banale la scelta coinvolgere gli attori palestinesi Mohammad, Adam e Saleh Bakri), con frammenti di vicende che si intrecciano e ricordi che si sovrappongono. Non un percorso lineare, ma un andirivieni nei tempi di questa famiglia che ne sigilla ancora di più il legame. Nonno e nipote, per le loro somiglianze ideali, padri e figli per le ferite incancellabili dell’anima. Talvolta diverse, talvolta talmente simili da testimoniare l’ottuso e drammatico ripetersi delle stesse situazioni.”Forse quello che resta di noi non sono le cose materiali, ma le storie che lasciamo dietro, i valori che trasmettiamo, la memoria che continua a vivere nei gesti e nelle parole di chi amiamo.

 

 

E così, narrando la storia del nonno, Hanan ricostruisce anche la storia di suo figlio, cucendo insieme le ferite del passato e tracciando un sentiero di speranza verso il futuro”, scrive Dabis, regista, attrice, sceneggiatrice statunitense di origine palestinese e giordana, sensibile ai temi legati alla vita quotidiana dei palestinesi della diaspora e di quelli rimasti in Medio Oriente, forte di esperienze vissute in prima persone che sono diventate l’ossatura delle sue storie. Semplicità, coerenza, empatia sono i sentimenti che sottendono Tutto quello che resta di te, nonostante la pesantezza di scelte formali stanche, incapaci di far risuonare l’urgenza del tema e la necessità del discorso. Restano personaggi non completamente definiti, intenzioni non del tutto assecondate e una certa stilizzazione che crea distanza. Ma resta anche un affresco preciso delle responsabilità di un presente che ha radici molto lontane.