Carlo Chatrian ci racconta Locarno 69

Quest’anno Carlo Chatrian, il Direttore artistico del Festival del film Locarno, ha approntato un programma che è andato alla scoperta di autori e cinematografie poco frequentati. Dai margini si “vede” meglio, con più consapevolezza, sembra suggerire il festival. Si tratta di una grande e rischiosa sfida che solo Locarno (fra i festival maggiori) è in grado di proporre. Il piacere della scoperta in questo 2016 dovrebbe divenire una costante per gli spettatori più accorti e ricettivi. Un centinaio di lungometraggi che ci diranno quali sguardi, tendenze, movimenti val la pena di inseguire nei prossimi anni. E poi c’è una retrospettiva sul cinema tedesco degli anni Cinquanta che fin da ora appare imperdibile. Ne abbiamo parlato con Carlo Chatrian.

Carlo Chatrian, director of Film Festival Locarno, pictured on September 18, 2012, in Locarno, Switzerland. (KEYSTONE/Jacek Pulawski) Carlo Chatrian, Direktor des Filmfestivals Locarno, aufgenommen am 18. September 2012 in Locarno. (KEYSTONE/Jacek Pulawski)

Sulla carta il festival appare avere imboccato la via della ricerca con convinzione. Il programma appare straordinariamente interessante e molto cinefilo. A Partire da registi come Yousry Nasrallah, Anocha Suwichakornpong, João Pedro Rodrigues, Matías Piñeiro…

Lo spirito della ricerca o della scoperta appartiene al Dna di Locarno. E forse sta nelle ambizioni di ogni direttore. Poi saranno il pubblico, gli addetti ai lavori e il tempo a decretare il successo della proposta. Noi quest’anno siamo consapevoli di aver messo insieme un programma che si azzarda in territori poco esplorati (Tailandia, Mozambico, Indonesia) dando voce a film che hanno progetti capaci di abbinare riflessione a intrattenimento. Penso che sia il programma più vario e più da scoprire tra quelli da me coordinati. Abbiamo puntato su una generazione di giovani registi che raccontano di un rapporto diverso con la macchina cinema: nonostante sia diventata più leggera e maneggevole la usano per filmare storie importanti che riguardano la comunità. Sono espressione di una generazione che sta superando l’epoca del disimpegno. Poi è chiaro che in un programma che raggruppa circa 100 lungometraggi c’è spazio per voci autorevoli come Nasrallah, che torna a Locarno con un film al contempo gioioso e politico da gustarsi come si farebbe con un melò italiano degli anni Cinquanta o un film di Renoir. Anche João Pedro Rodrigues torna a Locarno con il suo film più anarchico e colorato. Un viaggio sul corso di un fiume tra Pasolini e Fassbinder. La regista Anocha Suwichakornpong arriva preceduta da un lavoro che era stato notato a Rotterdam, non so quanti lo conoscano ma sono certo che dopo aver visto il suo By the time it test dark sarà difficile dimenticarla. Matías Piñeiro infine è a mio modo di vedere l’erede più puro della Nouvelle vague francese, da Rohmer a Rivette, il suo ultimo film girato a New York è probabilmente il più raffinato e leggero.

By the time it test dark
By the time it test dark

C’è una evidente spina dorsale di film politici, legati all’attualità, da dove deriva questa scelta? 

Non è una scelta ma una riflessione che abbiamo fatto dopo aver ultimato la selezione. Inevitabilmente il presente informa le opere cinematografiche, ma penso che spetti più allo spettatore tessere rapporti tra i film e individuare i fili rossi. In fase di presentazione è stato gioco forza notare come film molto diversi tra di loro per concezione e provenienza si rivolgessero alla storia passata e ciò nonostante fossero estremamente attuali: è il caso dello Stefan Zweig riletto da Maria Schrader (Vor der Morgenröte), del film di Angela Schanelec che confronta l’oggi alle speranze dei giovani alla fine degli anni Ottanta, o di Radu Jude che ambienta la sua storia in un sanatorio negli anni Trenta.

 

Una curiosità: mettere tre registi nella giuria del Concorso (Arturo Ripstein, Rafi Pitts, Wang Bing) non renderà difficile fare una sintesi fra sguardi e sensibilità così differenti? 

È più facile accostare 4 attori o attrici? Non so. Ho capito che le giurie sono il risultato di una strana alchimia difficilmente controllabile – il che è un bene. Nei tre anni precedenti i premi hanno rispecchiato lo spirito di Locarno, mettendo in evidenza registi (Albert Serra, Lav Diaz) o attrici (Brie Larson, Ariane Labed) che hanno avuto poi la fortuna e la bravura di calcare palcoscenici anche più prestigiosi. Quest’anno vedremo: ho fiducia nello sguardo di tutti i giurati e nelle loro generosità.

 

Mister Universo
Mister Universo

Di cinema italiano non ci sono molte tracce…

In realtà il cinema italiano quest’anno è più presente del solito, solo che appunto si muove sotto traccia. Ma forse è proprio questo il cinema italiano che a noi interessa: quello che va in Qatar per portarci una visione straniante e senza tempo di un mondo che è quello globalizzato dove viviamo, come fa Yuri Ancarani, o quello che esplora i confini di una provincia dove si cela un vero patrimonio di storie e attori, così fanno Covi e Frimmel con il loro Mister Universo, o ancora quello che attraverso uno straordinario archivio e la collaborazione d’eccezione della penna di Scurati, esplora il mondo di un architetto milanese del ventennio fascista (L’amatore). Ma a Locarno ci sarà anche il ritorno di un maestro come Franco Piavoli o un esordio con un’opera unica che dà voce a un uomo malato di sclerosi multipla (La natura delle cose). Infine è svizzero di nazionalità ma vede una delle attrici italiane più interessanti (Ondina Quadri) Il nido, racconto ambientato in Ticino. Anche da questo punto di vista il programma di Locarno69 è un invito a non fermarsi alle apparenze.

 

Il Pardo alla carriera a Mario Adorf ci fa riscoprire un attore che ha fatto la storia del cinema. Più in generale come ti sei mosso per gli omaggi, da dove vengono le smario 800x450celte degli attori e registi proposti?

L’insieme di omaggi e premi compone una sorta di mappa che per me funziona da cartina stradale per orientarmi tra le varie anime del programma. Il lavoro tra cinema di genere e d’autore che accomuna in epoche diverse Adorf e Bill Pullman ad esempio fornisce una delle linee guida di questa edizione. All’estremo opposto stanno veri battitori liberi, artisti come Jodorowsky o Jane Birkin, che con la loro figura hanno oltrepassato l’universo cinema per toccare la cultura in senso più ampio. Spesso il punto di partenza per me è un titolo che ho voglia di rivedere o di far rivivere, attorno a questo coaguliamo un omaggio che è anche l’occasione per incontrare la parola dell’artista. Ad esempio con Corman uno dei punti di partenza è stato The Intruder, un film di schiacciante attualità e anche un po’ atipico nel suo fare cinema. Impossibile invece ridurre a un solo titolo la proteiforme attività di Howard Shore, anche se per me la base di partenza è stato il lavoro con Cronenberg, di cui rivedremo Videodrome.

 

La retrospettiva sul cinema Repubblica Federale Tedesca dal 1949 al 1963 è un grande evento. Si tratta di un cinema in gran parte sconosciuto. Cosa dobbiamo attenderci?

È il frutto di un lungo lavoro condotto da Olaf Moeller e Roberto Turigliatto. Il punto di partenza era rimettere in discussione l’opinione comune che considerava gli anni Cinquanta tedeschi come un’epoca per nulla interessante fatta solo di film dozzinali. Invece, oltre a un evidente interesse storico e sociale, la retrospettiva mette in mostra una realtà varia e molto più ricca di quel che si possa pensare. In quegli anni rientrano in patria Lang, Siodmak, Pabst, esordiscono con cortometraggi di ricerca Straub e Reitz. Un attore come Peter Lorre dirige il suo unico film da regista come per Laughton si tratta di un capolavoro, solo che è molto meno celebrato. Si chiama Der Verlorene ed è solo una tra le tante chicche di questo programma che passerà anche in Italia a Torino (al museo del cinema) e a Trieste (al festival I mille occhi).

Der Verlorene
Der Verlorene