Ad accompagnare il film di Clint Eastwood a Torino c’è il vero Sully, il comandante Chesley Sullenberger che il 15 gennaio 2009, a seguito dell’avaria di entrambi i motori, decise di compiere un ammaraggio sul fiume Hudson di New York, salvando la vita di 155 persone.
Questa storia inizia quando un mio amico, chiamato Harrison Ford che, oltre a essere l’attore che tutti conoscono, è anche un pilota e grande appassionato di aviazione, dopo aver letto il mio libro (dal titolo Highest Duty: My Search for What Really Matters ovvero “Il dovere principale: la mia ricerca di cosa realmente conta”, ndr) lo ha suggerito al produttore Frank Marshall che, a sua volta, ha incaricato la produttrice Allyn Stewart di opzionare i diritti. Poi Todd Komarnicki ha scritto la sceneggiatura e dopo che questa è passata nelle mani di alcuni registi, è arrivata in quelle di Clint Eastwood che l’ha amata e ha subito dato il semaforo verde. Quando, nel maggio 2015 ho ricevuto la telefonata dai due produttori ho capito che il film si sarebbe fatto. Una settimana dopo Eastwood era a casa mia.
Il rapporto con Clint
Quando ho aperto la porta non mi sono trovato davanti l’ispettore Callaghan, ma una persona estremamente gentile, affabile e molto riflessiva, con cui quel giorno ho passato tre ore. In quell’occasione mi ha detto che si sentiva qualificato per fare il film perché aveva vissuto lui stesso un ammaraggio al largo di San Francisco e con il pilota aveva raggiunto la costa a nuoto. Ci ha rassicurato e ho capito subito che la mia storia era in buone mani.
La sicurezza
È qualcosa a cui tengo molto, da sempre. Sono diventato un esperto in questo campo e lo considero un obbligo professionale primario. È qualcosa di molto vicino a una vocazione, si assume un impegno davanti ai passeggeri e se ne ha la responsabilità.
L’indagine
Durante il volo abbiamo secondi per fare delle scelte che si rivelano fondamentali e il pilota sa che esse saranno passate al setaccio. Questa consapevolezza non mi ha impedito di agire in maniera corretta… Avendo io stesso fatto parte della commissione d’inchiesta sapevo che ogni incidente può servire per migliorare la sicurezza, e quindi ho accettato con piacere questa indagine a mio carico. Ne capivo chiaramente la necessità e l’importanza e ritengo che il lavoro investigativo sia stato molto importante. Poi, naturalmente non è stato facile perché era il mio volo e il mio comportamento a venire vagliati e per 15 mesi, tanto sono durate le indagini, la mia vita è stata sotto la lente di un microscopio.
«We did our job»
Queste parole che vengono dette da Tom Hanks al copilota erano i miei pensieri e sono state le mie parole, ma penso davvero che noi tutti «abbiamo fatto il nostro lavoro». Il mio volto è diventato pubblico, ma quel giorno siamo stati tutti all’altezza dell’incarico che ci era stato affidato perché siamo tutti sopravvissuti.
Tom Hanks
Clint Eastwood mi chiamò qualche giorno dopo che, con la mia famiglia, avevo assistito a una proiezione privata del film dicendomi che doveva essermi sembrato strano vedermi sullo schermo con il volto e le movenze di Tom Hanks. In effetti era quasi surreale, così come lo è ogni volta che vediamo noi stessi in un filmato o in una foto, non per nulla viene naturale chiedersi se davvero siamo noi. Il ritratto che fa di me Tom Hanks è perfetto, assolutamente accurato, ne sono molto contento, riproduce letteralmente le frasi che avevo detto, nel modo in cui le ho dette. Tuttavia, sentire un attore che dice le proprie parole rimane un’esperienza quasi extra corporea.
Il giorno prima
È stato un evento davvero traumatico, nonostante tutti si siano salvati. E come viene detto nel film ho pensato che avrei voluto svegliarmi ed essere al 14 gennaio, il giorno prima dell’incidente. Una volta Jeff Skiles, il mio copilota che è diventato come un fratello per me, mi disse: «Vorrei indietro tutta la mia vita». Poi qualche tempo dopo, quando abbiamo incontrato Obama che era appena stato eletto, mi disse: «Ho fatto i conti con quello che è successo e l’ho accettato, anzi avrei voluto mi fosse capitato prima perché avrei potuto utilizzarlo per la mia carriera di pilota».
La registrazione
Ascoltare la registrazione è stata un’esperienza emotiva fortissima perché è stato ancora più intenso rispetto a quello che ricordavamo. Abbiamo dovuto fare una pausa, come si vede nel film, perché emotivamente era troppo. È qualcosa che ci ha unito per sempre.
Valori universali
I miei valori, che sono quelli in cui ho creduto in tutta la mia vita e che sono ben rappresentati nel film, non sono repubblicani, né democratici e nemmeno americani, ma sono valori umani che rappresentano tutti. Il modo in cui ognuno di noi è debitore agli altri nel momento in cui vive in società per me è fondamentale. L’umanità è quello che rende possibile la convivenza civile. Ogni essere umano deve vivere rispettando gli ideali che rappresenta.
Oggi
La vita della mia famiglia è molto diversa da prima, ma è bella. I cambiamenti non sono sempre stati positivi, ma ci sono state offerte delle opportunità che nemmeno in cento anni avremmo avuto.
La conta dei passeggeri
È stata la mia prima e ultima preoccupazione. Sono stato comandante per 22 anni e la mia compagnia non esigeva di avere il conteggio passeggeri che corrispondesse alla lista biglietti, ma io ho sempre chiesto al mio equipaggio di farlo. Non avrei mai pensato che un giorno avrei avuto bisogno di questa informazione, ma quando mi è servita ce l’ho avuta. Allo stesso modo, non veniamo addestrati a essere gli ultimi ad abbandonare il velivolo, ma per me era naturale essere l’ultimo a lasciare l’aereo dopo essermi assicurato che tutti fossero scesi.