Fino al 24 marzo 2019, nelle sale di CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia, a Torino, c’è la mostra Sandy Skoglund. Visioni Ibride, prima antologica dell’artista statunitense Sandy Skoglund (1946), curata da Germano Celant. La mostra riunisce lavori che vanno dagli esordi nei primi anni Settanta all’ancora inedita opera Winter, alla quale l’artista ha lavorato per oltre dieci anni. Sarà proprio questa immagine – accompagnata da alcune delle sculture create per l’installazione da cui è stata tratta la fotografia – il fulcro dell’esposizione: una spettacolare anteprima mondiale che conferma una volta di più l’unicità della sua ricerca e del suo linguaggio, formatisi in pieno clima concettuale per evolversi in un immaginario sospeso tra sogno e realtà, di straordinaria potenza evocativa. La mostra permette dunque di seguire questo percorso attraverso oltre trenta lavori, quasi tutti di grande formato. Si va dalle prime serie fotografiche prodotte a metà anni Settanta, dove già emergono i temi caratteristici dell’interno domestico e della sua trasformazione in luogo di apparizioni tra comico e inquietante, fino alle grandi composizioni dei primi anni Ottanta, che hanno dato all’artista fama internazionale. In particolare, si ricordano le visionarie Radioactive cats del 1980 e Revenge of the goldfish del 1981, autentiche icone del periodo, rivisitazioni surreali e stranianti di ambienti famigliari dai colori improbabili, invasi da gatti verdi e pesci volanti.Le immagini di Skoglund nascono – sempre – dalla costruzione di un set, estremamente complesso, che l’artista poi fotografa: un procedimento che ben spiega la rarefatta produzione dell’artista e la peculiarità della suo percorso visuale, che è al tempo stesso installativo, scultoreo e fotografico. Elementi, tutti, che si ritrovano nella mostra torinese, dove alcune sculture rimandano alle fotografie e viceversa. In apertura Sandy Skoglund: A Breeze at Work, 1987
Tra le tante opere storiche che compongono quest’esposizione, si ricordano i venti scatti della serie True Fiction Two, realizzata tra 1986 e 2005, che è una lisergica interpretazione dell’American Way of Life, le spettacolari composizioni di Fox Games 1989 e The Green House 1990, con i loro ormai iconici animali, volpi rosse e cani viola. Seguono il balletto di Shimmering Madness 1998, dove le statue e le figure umane condividono lo stesso spazio in una folle coreografia e il visionario pic-nic di Raining Popcorn 2001. Si giunge così alle due opere più recenti, Fresh Hybrid 2008 e l’inedito Winter 2018. Sono i primi due capitoli di una serie dedicata alle quattro stagioni, tra le opere più ambiziose e impegnative dell’artista: riflessioni non solo sull’arte, ma sulla vita, nel sempre più complesso rapporto tra essere umano e natura, tra realtà e artificio. Come ha scritto Sandy Skoglund, “per resistere all’istantanea, questa fotografia si muove alla velocità di un ghiacciaio. Il tempo resta immobile per un momento, ma solo dopo un lungo periodo di accumulazione e fatica. Ogni frammento di Winter è stato scelto per esprimere la paura primaria della dipendenza umana dalla natura e dagli altri. Noi non siamo soli, e la nostra situazione è invariabilmente precaria”.
Credo che esista un contrasto tra l’aspetto della fantasia – gli animali sono come cartoon o fantasie – e la realtà. Poiché noi, in quanto esseri umani, ci consideriamo la principale forma di coscienza esistente in natura, ho scelto di popolare le mie immagini con animali per introdurre nella nostra esperienza questa coscienza alternativa.