Fino al 24 febbraio si può visitare presso il Salone della Banca di Bologna Palazzo De’ Toschi la prima personale in Italia del fotografo e videomaker belga Geert Goiris (nato a Bornem, BE, nel 1971. Vive e lavora ad Anversa). La mostra, a cura di Simone Menegoi e Barbara Meneghel, è composta da una selezione di stampe fotografiche di diverso formato, uno slide show e una video installazione multicanale ed è presentata in un allestimento concepito appositamente dall’architetto Kris Kimpe, collaboratore abituale dell’artista. Il Salone è occupato da moduli espositivi esagonali, alcuni chiusi, altri aperti e accessibili, ognuno dei quali ospiterà sulle proprie pareti fotografie o immagini in movimento. I moduli, distribuiti in maniera irregolare, offriranno allo spettatore un’esperienza immersiva, lasciandogli al tempo stesso la libertà di scegliere il proprio percorso. La mostra bolognese è legata alla personale di Goiris presso la Royal Academy of Fine Arts di Anversa, in programma tra novembre e dicembre 2018. L’artista ha lavorato ai due progetti parallelamente, dando vita a due percorsi speculari le cui opere in gran parte coincidono — ma che risultano completamente diversi nell’allestimento, sottolineando le peculiarità dei due spazi. Il titolo della mostra, tratto dalla videoinstallazione inclusa in essa, è Terraforming Fantasies (“Fantasie di terraformazione”). Il termine ‘terraformazione’ viene usato per lo più nel contesto di speculazioni sul futuro dell’umanità, e si riferisce alla possibilità di rendere simili alla Terra, e dunque abitabili per gli esseri umani, pianeti diversi dal nostro alterandone chimicamente l’atmosfera. Si tratta di un’ipotesi che a oggi risulta fantascientifica, e la cui tacita premessa non è difficile da indovinare: l’ambizione di colonizzare altri pianeti rivela una profonda inquietudine circa il futuro del nostro, su cui incombe la minacciato di una catastrofe ecologica. In apertura Ecologist Place (2006).
“È fuorviante pensare alla “terraformazione” a questo stadio. In sé e per sé è un concetto interessante, ma manchiamo assolutamente della tecnologia e delle risorse (per non parlare dell’etica) per realizzarlo. Sognarlo, comunque, è profondamente umano: ambizioso, e allo stesso tempo tragicamente lontano dalla realtà”.
“La scenografia porta nello spazio una costellazione di oggetti estranei. L’intervento è, in una certa misura, inadatto, una forma di colonizzazione. Il mio intento (e la mia speranza) è che parli anche di caratteristiche umane come la meraviglia, la curiosità, la perplessità, eccetera. Scegliendo accuratamente le immagini e presentandole in un’accurata scenografia, miro a immergere lo spettatore in un mondo parallelo, una realtà prossima alla nostra ma che non coincide esattamente con essa”.
Pur senza escludere gli interni e la figura umana, la ricerca fotografica e video di Geert Goiris si concentra soprattutto sul paesaggio. Sia che catturi nelle sue immagini siti ai confini del mondo (dall’Antartide al deserto vulcanico di Dancali, in Etiopia), sia che si concentri su luoghi familiari, Goiris li fa apparire sospesi ed enigmatici, come se appartenessero a un altro pianeta. Un risultato che è frutto di scelte tecniche e stilistiche precise: l’artista si serve principalmente di una macchina fotografica di grande formato, su cui monta pellicole speciali (ortocromatiche, per riprese aeree, a infrarossi). Gli scatti hanno luogo soprattutto durante le ore del tramonto, nell’ora incerta in cui la luce inizia a declinare e lascia posto all’oscurità. Il metodo di lavoro è una combinazione di preparazione e casualità: Goiris adopera la camera con la precisione di un consumato professionista, ma durante il lungo tempo di esposizione che predilige può accadere potenzialmente qualunque cosa. Il modo in cui la pellicola trasformerà il soggetto inquadrato in un’immagine rimane, in una certa misura, imprevedibile. La macchina fotografica non è mai un mero tramite attraverso il quale possiamo entrare in connessione visiva con il mondo esterno, ma uno strumento per esplorare la differenza fra la nostra “esperienza” di esso e l’atto di vederlo per ciò che è. Come il filosofo e fotografo francese Jean Baudrillard, Goiris sembra aver compreso che la macchina fotografica è dalla parte del mondo, e ci offre uno spiraglio su come esso appare quando è spogliato di ogni proiezione o interferenza umana.