La vita invisibile di Eurídice Gusmão, come dire la storia di una donna dal punto di vista del suo lato segreto. Il film del regista brasiliano Karim Aïnouz, che ha vinto la sezione Un certain reguard di Cannes 2019, è ispirato al romanzo di Martha Batalha Eurídice Gusmão che sognava la rivoluzione (uscito nei giorni scorsi in Italia per Feltrinelli) e ha uno sguardo al tempo stesso realista e onirico sulla vita di due sorelle a loro modo ribelli e insofferenti delle regole sociali imposte nel Brasile degli anni Cinquanta e Sessanta. Eurídice ha diciotto anni e sogna di studiare pianoforte al conservatorio di Vienna, Guida ne ha venti ed è delle due la più istintiva. Sogna il grande amore e fugge di notte, in un abito verde, con il marinaio greco che ha promesso di sposarla. Era proprio lei, nel bellissimo prologo, a correre veloce lungo i sentieri del bosco per mettersi al riparo dal temporale in arrivo, mentre la sorella cercava di raggiungerla senza riuscirci. Presagio emotivamente forte di una storia di fantasmi, in precario equilibrio tra ragione e sentimento, tradizione e ribellione, in un paese selvaggio e urbano, “frastornato”, gioioso e violento.
La separazione delle due sorelle innesca il lento e progressivo lavoro di sottrazione che governerà le loro vite. Non è solo Eurídice, la più remissiva, a diventare invisibile (come recita il titolo e come dice lei stessa preveggente: “Quando suono divento invisibile”), perché anche Guida, proprio come nell’incipit, sparisce letteralmente alla vista della sua famiglia, nonostante vivano nella stessa città. Tornata dalla Grecia incinta, infatti, chiede aiuto al padre, ma questi la caccia, ripudiandola, senza che la madre dica una parola e all’oscuro dell’amata sorella. Le due non si vedranno più, eppure continueranno a cercarsi nei posti sbagliati, scrivendosi lettere che non verranno mai recapitate e portando avanti un’esistenza incompleta e infelice. In questo melodramma travolgente, Aïnouz costruisce attorno alle sue protagoniste un’aura di mistero, dipingendo le inquadrature con colori saturi e sgargianti, ispirati all’iconografia anni Cinquanta che spiazzano per l’elegante spensieratezza. Il contrasto è tangibile in ogni momento anche grazie alla ricchezza della composizione. La vegetazione lussureggiante, il continuo vociare degli uccelli, la vivacità cittadina, la raffinata abbondanza di musica fanno di questo film un esempio di come la verità si raggiunga attraverso l’eccesso e un racconto capace di procedere, sorpresa dopo sorpresa, rappresentando la vita come una continua rivelazione, mentre le sue protagoniste si perdono negli interni tortuosi delle case e negli specchi, l’una il controcampo dell’altra, la parte in ombra della sorella che non vedono e da cui non sono viste. Fantasmi, si diceva, che si oppongono, loro malgrado, alla norma, e assumono con dignità e consapevolezza, sul loro stesso corpo, la lotta silenziosa contro una società rigida e conservatrice. Eurídice e Guida mettono in crisi l’idea patriarcale di famiglia, ma restano ai margini delle loro stesse vite, in costante attesa di poter ricominciare insieme.