Herbie Hancock, Nick Mason, Damien Rice, Jacob Collier, Hozier, Stewart Copeland, tanto per gradire, mettendo in fila musicisti che sono nella storia della musica e altri che sgomitano per trovarvi posto. E ancora: Mannarino, James Bay, Nils Frahm, Venerus, Fiorella Mannoia con Danilo Rea, Dean Lewis, Kaleo, Fabio Concato, Tom Odell.
La 12ª edizione di Tener-a-mente, il Festival musicale del Vittoriale di Gardone Riviera (Brescia), in cartellone dal 1º al 26 luglio, mette in mostra una poderosa line-up internazionale, per un palinsesto fondato complessivamente su 15 live e la serata poetico-performativa Più Luce! (il 14 luglio), che quest’anno ha per titolo “La sete che brucia” e celebra l’Eros: lo farà attraverso le voci recitanti degli attori Roberta Barbiero e Umberto Terruso, alle prese con brani di Céline, Bukowski, Ágota Kristóf, Kafka, Henry Miller, Cortázar, Silvia Plath e altri, mentre le note calde del trio capitanato dalla fisarmonicista Rita Di Tizio omaggeranno Piazzolla e Galliano, ma pure la tradizione criolla e quella mitteleuropea.
Riassumendo, ecco il cartellone in ordine cronologico: Mannarino (1 luglio), James Bay (3), Nils Frahm (6), Venerus (7), Fiorella Mannoia con Danilo Rea (9), Dean Lewis (12), Più luce! (14), Damien Rice (15), Hozier (16), Kaleo (17), Tom Odell (19), Herbie Hancock (21), Fabio Concato (22), Jacob Collier (23), Stewart Copeland (24), Nick Mason (26).
Tutte le info su www.anfiteatrodelvittoriale.it.
Il debutto di Tener-a-mente, sabato sera, è stato all’insegna di un artista italiano, il cantastorie Mannarino, che ha letteralmente mandato in visibilio una platea sold out da settimane. Sono passati dieci anni da quando Alessandro Mannarino cominciava a girare l’Italia con Corde: concerto per sole chitarre (poi replicato nel 2015), affiancato dal formidabile Fausto Mesolella degli Avion Travel, mancato nel 2017 e il cui spirito – nonché la voce e la musica scritta per Tulipani, intro registrata al concerto – aleggiava pure sulla versione aggiornata di uno show che rivendica con orgoglio la propria anima acustica e chitarristica, impreziosita da archi, cori e percussioni leggere, per trasmettere vibrazioni di legno e intimità. Look total black, chioma da samurai, il cantautore attaccava con Un’estate, che ha un’armonizzazione sontuosa e un coro pronto a diventare strumento aggiunto. Poi era il turno di Fiume nero, una filastrocca col finale in crescendo percussivo. Con Congo saliva il livello di impegno sociale ma non calava quello degli arrangiamenti, che mescolano suggestioni africane e richiami al western folk del Dylan anni ‘70. Quindi arrivava un trittico contro la guerra: Deija è un sussurro salmodiante (riferimento alto all’irraggiungibile Leonard Cohen), Apriti cielo una trascinante danza da indiani metropolitani, Cantaré un inno che non disdegna la malinconia. Liriche ben scritte, note calde, melodie avvolgenti, e se anche fa capolino il romanesco il discorso resta tuttavia caparbiamente universale, senza provincialismi: il languore può sembrare un cedimento (un po’ alla Capossela prima maniera), ma lo sguardo sul mondo non si arrende mai alla delusione, scacciando la rassegnazione con la presa di posizione.
Come quando Manna si rivolge al pubblico e annuncia: “Adesso faccio canzoni tristi, che in questo posto dove bisognava essere uomini forti magari non ci stanno benissimo…ma io ai superuomini ho sempre preferito gli ubriaconi, i drogati, i disoccupati…”. Dalla platea giunge uno stentoreo “Viva D’Annunzio!”, a cui egli ribatte pronto: “Viva Gramsci!”. Scorrono pagine di incertezza esistenziale (Gente, Le rane) accompagnate a mistiche controcorrente (Maddalena), struggenti parole d’amore (Signorina, Scendi giù, Statte zitta, Fatte bacia’ , Serenata lacrimosa) e stornelli da risate agrodolci (Er carcerato, Me so’ ‘mbriacato), sgangherati quanto irresistibili bluegrass (Mariylou) e pizziche stilose (Scetate vajo’ ). Un paio di bis – Bar della rabbia e Vivere la vita – sono tracce non effimere di uno spettacolo che chiude in ovazione, non senza aver offerto una spiegazione supplementare a un passaggio precedente. Argomenta infatti Alessandro Mannarino: “Intendiamoci: non ho nulla contro D’Annunzio. Lo conosco perché l’ho letto, in alcuni casi anche apprezzato…Ma era un uomo che ha preso posizione a favore della guerra e, ancor di più in questo periodo, io preferisco dar credito a chi esprime parole di pace piuttosto che a chi predica la guerra”.
Buona, anzi ottima, la prima.