La prigionia dell’orrore: Never Let Go di Alexandre Aja

L’aspetto interessante di Never Let Go – A un passo dal male di Alexandre Aja sta nella questione della distanza relativa del Male. Nell’horror l’elemento maligno è una costante che in genere si colloca in una posizione stabile rispetto ai protagonisti, sta in un rapporto costante rispetto alla realtà, alla quale può appartenere (in una dimensione fisica o spirituale) o non appartenere (se rientra nella sfera mentale o soprannaturale), ma che in generale non prevede cambiamenti di stato. Il film di Alexandre Aja, invece, è costruito proprio sullo spostamento del baricentro del Male in una storia che del resto si basa proprio sull’inversione del classico rapporto di cattività dei protagonisti rispetto alla minaccia dell’orrore. L’imprinting della narrazione si direbbe distopico: una casa immersa nel folto di un bosco e tre personaggi fuori dal tempo che si muovono tra gli alberi legati a delle corde, prigionieri di se stessi ovvero liberi nella loro prigionia. Sono una madre, June, e i suoi due amatissimi figli, Samuel e il più piccolo Nolan, soli in un mondo che si conclude nella loro indissolubile unione familiare, vessata da un Male che, visibile solo alla madre, incombe su di loro e li vuole sopraffare. Unica salvezza la casa benedetta di antico legno (come la chiama June nei suoi riti salvifici quotidiani) in cui vivono e a cui sono sempre legati quando sono all’esterno, stretti nelle corde annodate ai loro corpi e alle fondamenta della casa. L’idea della libertà nella prigionia offerta da Aja a questo universo è già di per sé intrigante, soprattutto perché si relaziona a un setting maligno sfuggente, indefinito nel suo statuto reale o mentale, fisico o metafisico (sembra quasi di essere nel cono d’ombra del magnifico romanzo di Toni Morrison, Amatissima): Samuel e Nolan sopravvivono in un incubo che pare essersi impossessato di un mondo a loro ignoto.

 

 
Fossimo in un film di Shyamalan sapremmo già cosa pensare, e in effetti il modello di partenza di Never Let Go non è poi distante dal Maestro: astrazione e polarizzazione della narrazione coincidono con la funzione essenziale del dubbio che si instilla nei protagonisti e nello spettatore. L’inversione della prospettiva narrativa è ad un passo dal Bene e dal Male, quindi dal Vero e dal Falso… E se l’universo creato da June per i suoi figli, se quella porzione di mondo preservata dal Male che ha invaso tutto il resto non fosse che un’invenzione della madre? Nolan sospetta, Samuel no: c’è da capire se quel cordone ombelicale che li nutre nell’utero della casa benedetta di antico legno serva a liberarli dal male o a tenerli prigionieri. C’è da interrogarsi sullo statuto di realtà di quel Male che li minaccia, se si vuole riposizionare il baricentro del film. Ed è qui che Aja fa la cosa giusta, prende nuovamente le misure di tutto e dispone le figure in una nuova posizione rispetto alla Verità e alla Menzogna. Il film intanto si nutre di una serie di elementi interessanti che vanno dal rapporto tra visibile e invisibile alla pulsione ecodistopica di una natura che riprende il controllo del mondo, passando per una certa suggestione black live matters (Halle Berry produce oltre a interpretare June) che suggerisce arcaiche memorie di cattività schiavista nella condizione in cui vivono i protagonisti e rimanda anche a suggestioni identitarie profonde evocate nel già citato romanzo di Toni Morrison… Tutto questo per dire di un film che probabilmente eccede se stesso, nel senso che offre più spunti di quanti ne avesse in partenza, ma che resta anche proficuamente legato alla necessità di rigenerare una idea di horror classica.