Il senso della meraviglia e Il Superman di James Gunn, solare e divisivo

Al suo terzo anno di attività, in un mondo in cui gli esseri umani con superpoteri esistono da tre secoli, Superman ha passato un segno proibito. Si è immischiato nelle vicende di politica estera del governo americano fermando una guerra mossa da uno Stato amico degli USA. Luthor coglie la palla al balzo per ottenere dalle alte sfere della sicurezza nazionale mandato per occuparsi dell’ultimo figlio di Kripton. Il risultato è uno scandalo ai suoi danni che segue la violazione di uno dei suoi segreti meglio custoditi, uno scandalo internazionale che chiamerà in causa cloni, supereroi popstar e persone comuni, una vicenda con in gioco il fato dell’universo intero. Dopo una serie di prove su strada in cui non ha sbagliato un colpo, The Suicide Squad, Peacemaker e Creature Commandos, James Gunn dà la luce alla vera pietra angolare del nuovo universo cinematografico DC Comics: Superman. Da subito, dal primo trailer con il cane Krypto, il film ha polarizzato il fandom, complice l’interpretazione di Henry Cavill nei film di Zack Snyder che, nonostante il suo progetto sia naufragato, conta un fan base fedele e agguerrita. Ed è solo l’inizio perché ogni aspetto del Superman di James Gunn è divisivo. A partire da Krypto, il cagnolino che aiuta l’ultimo figlio di Krypton e non si limita a fare la spalla comica.

 

 
Gunn lo sapeva che avrebbe fatto incazzare tanti fan puri e duri dello Snyderverse e ce l’ha messo dappertutto. Perché Krypto è la vera sintesi di una lettura del mito che ne sposa una precisa fase, quella della Silver Age dei comics americani. Quel momento solare, mirabolante, a tratti assurdo, esagerato, a tratti psichedelico e pieno di scienza fantastica sfrenata con universi tascabili, mostri giganti e dimensioni parallele a cui si accede con una facilità disarmante. La Silver Age dei Fantastici Quattro di Lee & Kirby e del Flash di Carmine Infantino dove ti aspetti letteralmente di tutto. Ecco, questo è il Superman di James Gunn, un film divertente con un ritmo pazzesco in cui succede l’impossibile e tutto, più o meno, si tiene perché alla base la scrittura è solida e il regista è anche uno sceneggiatore che lo padroneggia con maestria. Un film perfetto? No, i difetti ci sono, uno su tutti lo scarso spazio che si riesce a dare a tutti i personaggi proprio perché ce ne sono troppi, tutti hanno una loro identità ben definita ma nessuno viene approfondito oltre una certa misura a parte i protagonisti, ottima in tal senso la costruzione della relazione tra Clark Kent e Lois Lane. Anche la scelta di cominciare in media res, a universo supereroistico già avviato e senza origin story, dando molto per scontato, può confondere gli spettatori meno preparati ma d’altra parte Gunn sa di non avere il tempo di costruire da zero un universo cinematografico in grado di competere con l’MCU, ci ha provato Snyder fallendo, quindi forse la via da prendere è un’altra.

 

 
Per il resto ciò che rende Superman un film divisivo risiede non tanto nei difetti del film ma nell’accettazione o meno di quelle che in definitiva sono scelte deliberate. Come l’abbandono della pesantezza e dei filtri stile Instagram di cui Snyder abusa. James Gunn fa una scelta diametralmente opposta. Il suo Superman è solare e umano, è fragile e lui stesso afferma, verbatim, di fare un sacco di cazzate ma ci prova ogni giorno che si alza dal letto, prende pugni per tutto il film ma si rialza e, a differenza del Supes snyderiano che con quattro schiaffi dimostra quanto il resto della Justice League conti come il due di coppe quando briscola è spade, è un giocatore di squadra, senza gli altri non ce la farebbe. Superman è umano e solare come il mondo in cui vive, in cui anche i supereroi sono anche dei cazzoni pieni di idiosincrasie che fanno del loro meglio, non sempre facendo bene ma comunque del loro meglio, in un mondo fantastico in cui tutto può succedere perché il senso profondo della Silver Age dei fumetti è questo: il sense of wonder, la meraviglia, il chiedersi fin dove si arriva schiacciando il pedale dell’immaginazione a tavoletta. Il sense of wonder, quanto l’ha capito James Gunn.

 

 
Un altro aspetto divisivo è la politica. Leggero all’apparenza, Superman è un film politico in cui la critica al sistema, pur in un ambito pop, leggero e divertente, non si tira indietro di un millimetro. Ci sono i milionari tecnocrati, c’è il rapporto tra il capitale e la politica, c’è la politica estera degli Stati Uniti, l’infosfera alimentata dall’odio dei social nell’epoca del collasso cognitivo, la scena delle scimmiette di Lex Luthor è un centro perfetto. Superman, un alieno, è un immigrato che si è dato la missione di proteggere tutti, specie gli ultimi, e se per farlo deve pestare i piedi agli Stati Uniti e ai loro interessi economici e politici non c’è problema, perché le priorità sono altre. Superman di James Gunn è un film politico. Qualcuno dice punk, a ragion veduta. Qualcuno con vivo disappunto dice woke e per una volta va bene, perché quella definizione, specie se usata in quel modo, si rivela un efficace rilevatore di imbecilli che in un’epoca come la nostra fa sempre comodo. L’universo cinematografico DC Comics era partito sotto i migliori auspici con le prime prove pienamente riuscite di James Gunn, ma se questa è la posa ufficiale della prima pietra, si può dire che ne vedremo delle belle. E se il fandom rimarrà diviso, chi scrive si schiera con i cuori ribelli.