In un Paese con la cultura musicale dell’Italia un festival come Tener-a-mente rappresenta un miracolo (che si ripete dal 2011). La manifestazione si svolge nell’Anfiteatro del Vittoriale degli Italiani: un luogo di commovente bellezza, che premia lo sguardo degli spettatori con una vertiginosa visione del Lago di Garda ed esalta gli artisti che si esibiscono in una location così evocativa. Oggi il festival diretto da Viola Costa, come progettualità e line-up è indiscutibilmente al livello di giganti come Montreaux, Marciac, Umbria Jazz, avendo però a disposizione un budget infinitamente inferiore. Va difeso e supportato anche perché la direttrice ha da poco annunciato che la rassegna il prossimo anno si sdoppierà, con un secondo appuntamento a settembre. Per comprendere la filosofia che accompagna Tener-a-mente basta scorrere il programma del 2025: i live di Bill Callahan (per il quale in platea c’erano i Baustelle), Brandi Carlile, Hermanos Gutierrez, The The sono stati di livello eccelso e nei prossimi giorni arriveranno, fra gli altri, Morissey, Vinicio Capossela, Kenny Wayne Shepherd band…

Per chi scrive l’evento più atteso era il concerto del 17 luglio di Kamasi Washington. La spina dorsale dello strepitoso live è formata dai brani estratti da Fearless Movement: Lesanu, Asha the First, Road to Self (KO), Prologue. La missione di Washington e della band è dilatare i brani con vertiginose improvvisazioni. Si prenda ad esempio Lesanu, nell’album ha una durata di 9 e 22′ mentre nel concerto si avvicina ai 16 minuti, con incluso un assolo spaziale di Kamasi Washington. Fra audaci derive funk e hip-hop, quello che comunica il gruppo è l’infinita gioia di potere suonare e sperimentare insieme, con una consapevolezza della tradizione del jazz nella sua totalità davvero impressionante. Una perla regalata al pubblico del Vittoriale è stata la prima esecuzione dal vivo di Love da parte di Ami Taf Ra, moglie di Kamasi, che il 25 agosto ha in uscita l’album The Prophet and the Madman. La canzone in origine ha una struttura abbastanza tradizionale che sul palco è stata meravigliosamente stravolta, reinterpretata. Quando suo padre, Rickey, prende il comando in Asha the First, sprigionando raffiche di note dal suo sax soprano su un ritornello suonato per la prima volta al pianoforte a casa dalla nipote di quattro anni, Washington siede al centro del palco ed è intento a governare il traffico musicale. A questa attività si dedica per tutto il concerto. Certo, una band che schiera musicisti del livello di Toni Austin, Miles Mosley, Cameron Graves, Ryan Porter…ti consente finezze interpretative come i raffinati cambi di tempo di Lesanu oppure la creazione della geniale melodia di Prologue, dove il sassofono di Kamasi Washington si trascina dietro tutto il gruppo, con un impeto che sfocia in un groove colossale che esalta la platea. Ogni traccia è un viaggio emozionale, un’epica esplorazione che attraversa differenti paesaggi musicali facendo sempre i conti con la storia e il presente. Alla fine rimane il ricordo di una notte che rappresenta una lezione su cosa possa significare frequentare la tradizione, praticare i linguaggi, entrare e uscire dalle forme, misurarsi con il rischio della continua invenzione.



